Sofia, la coltivatrice di fragole sostenibili

Sofia Micheli risparmia acqua e suolo e sguinzaglia insetti combattenti contro i parassiti.

«Lavorare la terra? Non è solo natura e poesia, ma anche conti, fatica e intraprendenza»

Alessia De Marchi
Sofia Michieli nella sua serra di fragole a Crespino
Sofia Michieli nella sua serra di fragole a Crespino

Sul rimorchio giocattolo, regalatogli da nonno Pio, il piccolo Giovanni, un anno da qualche giorno, accompagna mamma Sofia Michieli nel primo giro nella sera hi-tech di Crespino, in provincia di Rovigo. C’è da controllare che l’impianto irriguo funzioni a dovere. Sollevate da terra, le fragole crescono e maturano su letti di fibra di cocco e perlite, bagnate da una pioggia artificiale e protette contro l’assalto dei parassiti da insetti combattenti. Diventano mature tra maggio e giugno e poi ancora nel primo autunno, tra settembre e ottobre. Qualche mese di riposo quando il termometro segna l’inverno e poi si riparte con la potatura a febbraio. Nella serra di ottomila metri quadri immersa nella campagna rovigotta la vita non si ferma mai, neanche il lavoro. E le ferie si fanno nei vicini lidi romagnoli. Certo si sono periodo meno intensi, ma Sofia veglia tutto l’anno affinché nella sua coltivazione sostenibile e innovativa tutto proceda secondo programma. 28 anni compiuti a giugno, dal 2018 si occupa delle fragole che portano il suo nome: le Fragole di Sofia, appunto, un marchio riconosciuto grazie a un intelligente lavoro di promozione, anche via social. «Qui in Veneto», osserva, «siamo bravi a produrre, ma poi ci dimentichiamo di comunicare quello che facciamo». Sofia, invece, generazione Millennials per anagrafe e grande intraprendenza come dote personale, sa bene quanto contino post, reel e stories per la società del web.

Come inizia la sua avventura imprenditoriale?

«Sono nata e cresciuta nell’azienda avviata a fine anni Novanta dai miei genitori. Da Albignasego sono arrivati a Crespino inseguendo il sogno di papà Pio. Se i suoi fratelli avevano scelto altre strade – chi il farmacista, chi il ristoratore, chi l’imprenditore nel settore della moda –, lui voleva continuare il lavoro dei suoi genitori. Mamma Morena lo ha sempre sostenuto nella ricerca di un pezzo di terra per avviare un’azienda tutta loro. Io e mia sorella Silvia siamo cresciute tra campi di cereali, pereti, pescheti, pomodori, peperoni, cetrioli, polli allevati a terra, ... Da piccola sognavo di fare la veterinaria, ma poi sui banchi di scuola ho incontrato la biotecnologia e me ne sono innamorata. Così sono nate Le Fragole di Sofia, scegliendo di coltivare in modo innovativo e sostenibile un frutto accattivante, femminile, che sposa bene il dolce e il salato».

Qual è la particolarità del suo impianto?

«La mia serra per fragole risparmia acqua e suolo, è tra le pochissime nel suo genere in Italia. Usiamo responsabilmente l’acqua con un’irrigazione mirata, abbiamo bandito gli insetticidi mettendo in campo gli insetti antagonisti, controlliamo temperatura e umidità in modo da creare un ambiente ideale per la maturazione. Lavoriamo in piedi, grazie a canaline sollevate da terra, programmate per essere spostate in modo da ottimizzare l’uso dello spazio. Anche la ricerca del benessere di chi lavora fa parte della nostra scelta sostenibile».

La manodopera, merce rara in agricoltura. Anche per la raccolta delle fragole?

«Sicurezza e formazione sono fondamentali per chi lavora con noi. Impieghiamo una decina di persone in autunno con punte di venti in primavera quando serve più presenza in serra. La maggior parte dei nostri dipendenti è italiana. Il tipo di lavoro, con possibilità di part-time, ben si adatta alle esigenze di un’occupazione femminile».

Com’è la sua giornata tipo?

«Sveglia all’alba e via fino alle 11 in serra, nel periodo più caldo. Mio marito Francesco lavora nella sua azienda agricola. Giovanni sta con i tre cuginetti in una sorta di kinderheim familiare gestito dalla nonna. Poi c’è tutto il lavoro sulla carte e davanti al pc. C’è la cura del marchio, del commercio, della promozione. Fare l’agricoltore oggi non è solo lavorare la terra, natura e poesia. Arrivano i conti e la poesia spesso decade».

Perché?

«I prezzi non li fanno gli agricoltori, ma li subiscono. Diciamo che la produzione è cieca: i costi (energia, materie prime, irrigazione, innovazioni tecnologiche, ...) sono variabili, spingi sulla produzione senza avere certezze finali. Il clima è forse tra le componenti che incidono di più nel nostro lavoro. Poi ci sono anche gli scenari internazionali».

E il cambiamento climatico?

«Incide, eccome. Il clima pazzo è la grande incognita contro cui bisogna attrezzarsi. Le piccole aziende arrancano, quelle un po’ più strutturate si organizzano. Certo, farlo con le proprie forze è spesso impossibile. Per questo sono importanti le associazioni di categoria, i finanziamenti, la capacità di innovarsi in continuazione».

E i giovani? Si parla spesso di un ritorno alla terra. È così?

«Sono pochi quelli che aprono partita Iva per fare gli imprenditori, molti sono assunti come periti agronomi. Il nostro è un modo difficile, chiede fatica e passione».

Il suo sogno?

«I progetti sono tanti. Mi piacerebbe avviare un piccolo polo di innovazione nel settore delle produzioni agroalimentari di frutta e verdura con l’università».

L’intelligenza artificiale?

«È già il presente. Nel futuro prossimo c’è l’installazione di centrali con sonde per il controllo di temperatura, luce e umidità in serra». —

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