Iezzi, mister performance, porta il basket negli Emirati Arabi
Il veneto Roberto è il preparatore atletico del Dubai Basketball Club, società appena nata.
Il team dell’Uae punta a scalare le classifiche mondiale e quest’anno gioca in Europa
Negli Emirati Arabi Uniti (Uae) il basket non è certamente un fiore all’occhiello. Il massimo campionato è nato solo nel 2013 e conta appena sette squadre. La nazionale emiratina, oggi, è al 110° posto mondiale del ranking Fiba, dietro a realtà come Mozambico e Palestina, appena cinque posti più avanti di San Marino.
Eppure c’è una squadra, il Dubai Basketball Club, che al primo anno di vita è già ai primi posti dall’Aba Liga, uno dei campionati più importanti del mondo che coinvolge i principali team della regione balcanica, compresi quelli della gloriosa penisola jugoslava. In pochi mesi, infatti, la società presieduta da Abdullah Saeed al Naboodah – figura di spicco negli Uae – ha messo in piedi un roster con grandi nomi della pallacanestro mondiale, uno staff d’eccezione e si è comprata pure la possibilità di giocare in uno dei principali campionati del mondo. Il richiamo a quanto avvenuto nel calcio, con le mani degli sceicchi sulle più importanti squadre europee, è scontato.
Tra le figure volate a Dubai per dare vita all’ambizioso progetto c’è anche Roberto Iezzi, veronese d’adozione (di Bussolengo), il preparatore atletico di questa nuova squadra.
Come è nato il contatto con Dubai?
«In modo casuale: stavano reclutando giocatori e staff e la prima scelta era Luka Svilar, che però aveva aperto un dialogo con l’Nba e che poi ha firmato per gli Charlotte Hornets. Lui ha fatto il mio nome e il colloquio con il general manager è stato positivo. Era richiesta, per noi dello staff e per gli atleti, una grandissima esperienza nelle competizioni europee, Eurolega o Eurocup su tutte».
In cosa consiste il suo lavoro e quanto impegna la tua giornata?
«Nello specifico ho assunto il ruolo di direttore delle performance, che supervisiono a 360 gradi: dal punto di vista della prestazione pura – ad esempio l’organizzazione dell’allenamento in sala pesi – al monitoraggio del recupero post-partita, passando per l’attenzione alla nutrizione. Coordino anche l’area medica e dei fisioterapisti. La mia giornata comincia alle 9, con la riunione dello staff, a cui segue quella specifica con i fisioterapisti. Alle 10 arrivano i giocatori e si va con il lavoro individuale. Alle 12 c’è una riunione di squadra, si visiona il film della partita appena giocata o degli avversari che si affronteranno. Quindi ecco l’allenamento vero e proprio, di due ore, per chiudere con l’attività di recupero: esercizi di mobilità, stretching, vasche di ghiaccio o sauna. Alle 15 i giocatori se ne vanno, noi terminiamo con un’ultima riunione».
Dubai Basketball è certamente un caso mondiale. Incuriosisce la scelta di partecipare all’Aba Liga, che tra le altre cose comporta una serie di trasferte importanti, incombenza che ha dei risvolti anche nel suo lavoro.
«Dopo l’Nba, l’Europa è il palcoscenico più competitivo e una squadra con ambizioni come Dubai non poteva che scegliere il Vecchio continente. In questa stagione affrontiamo due lunghe trasferte importanti al mese, un impegno non banale ma comunque non clamoroso: d’altra parte, è quanto hanno sempre fatto le squadre russe come Mosca, Kazan o San Pietroburgo nell’affrontare le coppe europee. L’anno prossimo, se verremo ammessi all’Eurolega (la Champions League del basket, ndr) e i match in Europa raddoppieranno, l’impegno sarà sicuramente più ostico: si dovrà lavorare sulla qualità dei viaggi e dei tempi di recupero e riposo».
Prevede un campionato competitivo con giocatori di fama mondiale anche negli Emirati, in un prossimo futuro, come avvenuto per il calcio capace di portare big come Ronaldo?
«Per ora non c’è un progetto di questo genere, ma qui basta davvero poco per creare una prospettiva del genere. Non ci sono problemi economici per sostenere un percorso come quello del calcio, lo si può fare tra due anni come tra un mese. Se mai sarà, nascerà sicuramente un campionato di livello altissimo, quanto basta per portare negli Uae nomi di prestigio».
Al vostro debutto avete persino battuto i campioni in carica in Aba, la gloriosa Stella Rossa Belgrado.
«L’emozione è stata tantissima, ma non è stato un successo inaspettato, sia per il valore del roster che per il lavoro compiuto in preseason. E poi la cornice della Coca Cola Arena di Dubai, completamente sold out, è stata strabiliante, quasi a livello Nba. Lo staff ha saputo creare un vero e proprio evento: d’altra parte qui manca una tifoseria legata al basket, e per attirare gente occorre che il pubblico si diverta».
Personalmente com’è stato l’impatto con la città Dubai? C’è qualcosa che l’ha subito attratta e qualcosa a cui difficilmente invece si abituerà?
«Inutile nasconderlo, qui si respira un’aria diversa. Si respira soprattutto la possibilità di fare qualsiasi cosa: un professionista non ha limiti alle ambizioni o alla progettualità. E anche dal punto di vista economico, chi lavora qui può dirsi ben soddisfatto. Di Dubai ho amato da subito la contaminazione internazionale, anche e soprattutto nel team di lavoro: raramente ho visto tante culture convivere per realizzare un progetto. Non mi abituerò mai, invece, al traffico».
Uno sguardo sulla “salute” del basket veneto?
«Ai veneti piace tantissimo il basket e già questo garantisce una “salute” di base. Posso dire che la Scaligera Verona deve ritornare a essere una piazza di prima divisione e che il Veneto merita tre squadre in A: Verona, Venezia e Treviso».
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