«Vermiglio»: la sorpresa dell’Italia è una storia magica arrivata con un sogno
Secondo film italiano in Concorso, “Vermiglio” di Maura Delpero racconta l’ultimo anno della seconda guerra mondiale in una grande famiglia di montagna che accoglie un soldato rifugiato e, come per un paradosso del destino, perde la pace nel momento in cui il mondo ritrova la propria, dopo la Liberazione. Un filmdi cui, in sede di presentazione, il direttore Alberto Barbera non aveva esitato a sottolineare la freschezza, nel più puro stile di Ermanno Olmi, tra natura leopardiana e valori di umana solidarietà.
«Un paragone che mi onora e mi imbarazza» si schermisce Delpero. «Se anche per poco lo spirito di Ermanno Olmi aleggiasse sul film sarebbe una cosa enorme. Ho ascoltato il mio inconscio perché, dopo la morte, mio padre è venuto a trovarmi in sogno. Era tornato nella casa della sua infanzia. Aveva sei anni, due gambette da stambecco, e portava questo film sotto il braccio».
Così Delpero ha scritto, diretto e coprodotto questo film assieme a Raicinema, nel paese d’origine del padre, Vermiglio, nella Val di Sole meno contaminata dal turismo, tra l’Adamello e il Tonale, fra Trentino e Lombardia. Una storia corale di impatto emotivo, fatta di bambini che ragionano più degli adulti (splendidi i commenti notturni, nel lettone comune) e di grandi che si comportano da piccoli. Bambini strappati all’infanzia dalla guerra, «in una società deprivata dei padri, e che mantengono ironia e lo sguardo puro del fanciullino pascoliano».
Una vicenda lunga quattro stagioni, con la musica di Vivaldi che la spiega anche grazie alle parole del maestro e padre della famiglia Graziadei. Attorno a lui, Tommaso Ragno, Sara Serraiocco, Carlotta Gamba e poi i non professionisti reclutati tra la gente della valle.
«Ho scritto sul posto, immergendomi nelle osterie e nei bar, a bere grappa e birra con i signori del luogo, che poi mi portavo sul set. Ho scelto ogni comparsa o bambino, anche perché loro non si sarebbero mai presentati a un casting. Poi c’era il dialetto, la vera musica del film assieme ai sussurri dei bimbi, sul quale ho rotto tantissimo agli attori, perché fossero il più filologici possibile» aggiunge Delpero.
“Vermiglio”, in sala dal 19 settembre con Lucky Red, ha un sapore antico, ma in realtà è moderno nei temi e nello stile, nell’espressività, a cominciare dalla direzione dei bambini, autentico coro greco, mai stucchevole. Non c’è nostalgia del passato: «Volevo sfatare un pregiudizio legato alla descrizione del passato come un mondo di necessità e non di desiderio».
Perché anche allora c’erano desideri forti, gli stessi di oggi, da una sessualità repressa che trovava sfogo in vario modo, all’ansia di emancipazione culturale delle ragazze, di affrancamento dei maschi dalla dura vita della montagna. Desideri negati o celati, anche in chi pare tutto d’un pezzo come il padre-maestro, che ascolta Chopin e Vivaldi, ma nasconde album da voyeur. E la voglia riconoscente di famiglia del soldato siciliano che nasconde un’altra vita; la maternità negata di Lucia e poi ricondivisa, la fuga in montagna e il ritorno: non proprio un’elegia alpina, ma un andare circolare tra la natura esteriore e interiore, entrambe leopardianamente matrigne.
Red carpet di felicità, tra l’emozione e la tensione dei bambini tirati a lustro, uno con l’immancabile cappello tirolese di loden in testa, capitanati dalla regista Maura Delpero felice ed elegantissima in bianco, accolti in sala dall’ovazione di un paese in festa.
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