Gianni Amelio e la battaglia per il presente
“Campo di battaglia” è il primo film italiano in Concorso, dalla Grande Guerra ci parla dell’oggi. Una storia di uomini in un set friulano con la trevigiana Rosellini nel cast
«Un film sulla guerra, non un film di guerra». Lo ha detto più volte Gianni Amelio, parlando del suo “Campo di battaglia”, primo dei cinque titoli italiani a passare in Concorso al Lido. E se «le immagini di guerra sono usurate dai telegiornali», fedele al suo cinema d’impegno e militanza il regista racconta una storia dove il conflitto resta sullo sfondo e si mescola con l’arrivo di una pandemia terribile, la spagnola, che falciò 600mila persone solo in Italia.
È stretto il dialogo con il presente (guerra e pandemia) anche se, chiarisce Amelio, «Io non parto dall’attualità, perché io non penso, ma sento i problemi».
Due anni dopo “Il signore delle formiche”, Gianni Amelio si propone di ricreare quel mix che nel film metteva assieme storia e sentimenti, conflitti sociali e destini individuali, partendo da “La sfida”, scritto dall’anatomo-patologo Carlo Patriarca, sceneggiato con l’aiuto di Alberto Taraglio.
In “Campo di battaglia” sono tutti vittime, anche quando diventano carnefici, come gli ufficiali che mandarono a morte o al carcere disertori, o autolesionisti che cercavano di evitare il fronte. Perché, ricorda il regista, «questa è una storia di uomini», due ufficiali medici che, nelle retrovie del fronte, in ospedale, si trovano davanti a un bivio.
Da una parte c’è il puro e duro tenente Giulio Farradi, che ha lo sguardo austero di Gabriel Montesi e che appena può smaschera simulazioni e false menomazioni per rispedire tutti al fronte: siamo nei primi mesi del 1918 e Caporetto non è ancora superata. Dall’altro, fragile e assorto, il collega Stefano Zorzi (Alessandro Borghi) che si fa prendere dalla compassione e cerca di favorire i soldati nel rientro a casa. Soldati che parlano dialetti incomprensibili (bravissimi i caratteristi), che per la prima volta si ritrovano vicini al fronte: la vera Unità d’Italia avvenne in quelle trincee.
Ma, come dice Zorzi: «I soldati tra loro si capiscono sempre, siamo noi che non li capiamo», esponenti di una borghesia che raramente stava dalla loro parte.
Tra i due medici, amici d’infanzia, c’è un amore condiviso, Anna, studentessa di medicina finché, disillusa e frustrata perché «non è una professione da donne», si ritira e finisce crocerossina nello stesso ospedale, dove tuttavia prende coscienza di un mondo imprevisto.
Anna è la trevigiana Federica Rosellini: «Nel film» dice «ci sono due elementi, ghiaccio e fuoco, un ribollire continuo dove i personaggi scappano da qualcosa, soprattutto Anna, inafferrabile finché prende coscienza di sé e si prende cura del mondo, dei viventi. Questo film ci dice di non dimenticare, ma di agire, almeno per una volta».
Rosellini è interprete di un’espressione estremamente severa che non rende omaggio alla sua duttilità di performer brillante e impegnata. Ma in realtà è tutto il film che resta ambiguo nei toni, mostrando facce da tragedia e toni da dramma, se non da commedia. Troppo schematici i caratteri dei tre protagonisti, anche se è chiaro l’intento di Amelio di mostrare fin dal titolo le premesse di quello che accadrà tra il 1919 e il ’21: Zorzi appartiene a quella parte minoritaria della borghesia liberale, socialista o cattolico-democratica che nel 1922 sarò sconfitta da chi, come Farradi, plauderà alla nascita del fascismo.
Così il “Campo di battaglia” non è solo la trincea, ma quel piano ideale di scontro tra diverse concezioni politiche e sociali, tra diversi modelli di solidarietà che la “spagnola”, e il Covid-19, avrebbero dovuto imporre. Un’epidemia che, anche allora, si cercò di sottacere e derubricare a influenza, complice la vittoria. Ma, ricorda ancora Amelio, anche «la guerra è una malattia da sradicare, anche se le sue radici sono inafferrabili. Quale odio spinge gli uomini a uccidersi tra loro? Anche l’affondamento di un gommone è Guerra».
“Campo di Battaglia” ha utilizzato come location il Trentino, tra Rovereto e Forte Cherle, vicino a Folgaria, a 2500 metri, ma soprattutto il Friuli Venezia Giulia. Base delle riprese è stata Udine, poi la Carnia, tra Venzone e Tolmezzo, quindi Codroipo (a Villa Manin c’è la sede del comando italiano), Osoppo, Cormons e Gorizia.
Nella produzione locale sono stati impiegati venti tra tecnici e maestranze friulane e 520 comparse, per un totale di dodici giornate di riprese sul territorio, prima di spostarsi a Roma e in Toscana. Il film uscirà in sala il 5 settembre.
Sul red carpet, il cast opta per la sobrietà. Borghi, ancora al mattino, ha svelato la nuova collezione di Valentino disegnata da Alessandro Michele. Sfilano Eva Green, stavolta in viola, Victoria dei Måneskin, Alessandra Mastronardi in lungo lilla, la modella Emily Ratajkowski in vintage Tom Ford.
Assenti finora gli sportivi, ecco Paola Egonu con il fidanzato Leonardo Puliti e Gianmarco Tamberi con la moglie Chiara Bontempi. Tornano, e splendono, anche le top model e non è un caso: dopo la proiezione, la serata continua all’Arsenale con il party di Armani Beauty.
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