Accoltellato a Treviso, parla la mamma: «Voglio incontrare i ragazzi che hanno ucciso mio figlio»
Monica Favaretto, la mamma di Francesco, ucciso a 22 anni, si confida: «Non sarà un simbolo, in vita nessuno gli ha creduto. Sono convinta che fossero lì con l’intenzione di colpirlo, che avessero premeditato tutto, con grande brutalità»
«Voglio incontrare i ragazzi che hanno ucciso mio figlio. Voglio parlare con loro». A sei giorni dalla morte di Francesco Favaretto, il 22enne ucciso in via Castelmenardo a Treviso da una gang di giovanissimi, Monica, la sua mamma, ha una richiesta. Forse frutto del dolore o, al contrario, di una mente lucidissima alla ricerca della verità.
Monica vuole guardare negli occhi i giovani che armati di coltello e cocci di bottiglia hanno provocato ferite talmente profonde al corpo di suo figlio da farlo morire. In due settimane la sua vita è stata stravolta. Prima di quel maledetto 12 dicembre, Monica lavorava la mattina come donna delle pulizie e poi il pomeriggio lo dedicava ai cani e alla casa, l’appartamento in via Toscana nel quartiere di San Liberale . Ora che suo figlio è morto, Monica deve trovare la ragione per andare avanti.
Monica quale è oggi la sua ragione di vita?
«Quello che vorrei fare ora è parlare con i ragazzi che hanno ucciso mio figlio».
Perché?
«Sono convinta che volessero uccidere Francesco, che avessero premeditato tutto».
In che senso?
«Credo che fossero arrivati davanti a lui con l’intenzione di colpirlo».
In base a cosa lo dice?
«Lo dico sulla base dei colpi che ha ricevuto, per la brutalità».
Ha pensato a cosa gli dirà?
«Ancora non so, so solo che vorrei parlare loro con amore e gentilezza, non vorrei attaccarli. E poi tarerei le mie parole a seconda della loro reazione. Voglio capire perché lo hanno fatto e chi c’è dietro quella violenza».
Sono passate due settimane dal giorno in cui Francesco è stato accoltellato e aggredito. Come sta ora?
«Non c’è mattina che passi che spero di svegliarmi da un incubo. Ogni giorno spero che mio figlio si risvegli, che sia ancora attaccato alle macchine in ospedale e che da un momento all’altro apra gli occhi. Come mamma non riesco a pensare ad altro. Ogni giorno vado in obitorio, sto a fianco a lui e piango e penso che la mia vita è finita»
E quando torna a casa?
«Mi sento sola e spaventata, Vivo in una situazione di disagio, tra droga e persone problematiche voglio andarmene da qui».
Quando era vivo Francesco sognava di portarlo a vivere in campagna per aiutarlo a disintossicarsi. Sogna ancora la campagna?
«Ora non posso spostarmi, devo sistemare diverse cose. In futuro, vorrei portare i miei cani con me, hanno bisogno di un giardino. La campagna sarebbe il posto ideale».
Ci sono tante persone che si sono offerte di aiutarla per il funerale. Come possono fare?
«Ci sono i veri amici di Francesco, sono loro che mi daranno una mano. Ci sono tante persone che si stanno facendo sentire solo ora, ma ho bisogno di avere di fianco solo persone che volevano davvero bene a mio figlio».
Cosa desidererebbe per il funerale di Francesco?
«Tante piante e tanti fiori per lui, segno di vita».
Come la fontana che vorrebbe fosse posizionata nel luogo dove è avvenuta l’aggressione?
«Sì vorrei ci fosse una fontana, una sorgente di acqua pulita per lavare via tutto il dolore che stiamo vivendo in questo momento».
E cosa altro desidera?
«Che si parli il meno possibile di mio figlio, che la sua memoria non venga infangata. Ogni volta che si parla di lui, io muoio».
Secondo lei Francesco non può diventare un simbolo della lotta al disagio giovanile?
«Quando lui ha denunciato lo spaccio e le aggressioni che aveva subito, nessuno gli ha creduto. Lui ora è morto, che sia un simbolo non conta più nulla».
Riproduzione riservata © Tribuna di Treviso