Trentini nel carcere dei dissidenti politici: «I detenuti in condizioni degradanti»
Il caso del cooperante finito al centro dell’agenda del G7 in Canada. Il cooperante si trova a El Rodeo, struttura pericolosa per Amnesty International. Tajani: «Abbiamo chiesto aiuto agli Usa»

Alberto Trentini è detenuto nel carcere El Rodeo I, nello Stato di Miranda, alla periferia di Caracas, a circa 30 chilometri della capitale del Venezuela, in una località chiamata Guatire. Un carcere famigerato, indicato da organizzazioni internazionali come Amnesty come una struttura nella quale sono detenuti arbitrariamente oppositori politici o dissidenti in condizioni crudeli e disumane.
L’indiscrezione, raccolta dall’agenzia Ansa, arriva ad un solo giorno di distanza dalla presa di posizione del ministro degli Esteri, Antonio Tajani, che dal G7 in corso in Canada ha lanciato l’allarme sugli italiani detenuti in Venezuela, tra cui il cooperante italiano arrestato ormai quasi quattro mesi fa.
Il caso al G7
La diplomazia italiana sta facendo sponda con gli Stati Uniti per fare pressing sul regime di Nicolas Maduro. «Con il segretario di Stato degli Usa, Marco Rubio ci siamo soffermati a lungo sulla situazione in Venezuela che ci preoccupa. Ho chiesto a Rubio di fare tutto ciò che è nelle loro possibilità per cercare di ottenere la liberazione dei prigionieri politici italiani. Sono otto, più Alberto Trentini.

Non so cosa si potrà fare ma certamente il tema è all’ordine del giorno non soltanto italiano ma del G7 e anche nelle relazioni con gli Stati Uniti», ha fatto sapere ieri lo stesso ministro parlando con i giornalisti al termine del G7 Esteri di Charlevoix. Nella lista dei detenuti italo-venezuelani per i quali il governo ha fatto appelli al Venezuela rientrano anche ex deputati e dirigenti politici. Trentini, arrivato in Venezuela il 17 ottobre scorso per coordinare i lavori sul campo della ong Humanity & Inclusion, è stato arrestato il 15 novembre.
Attualmente sarebbe in regime di isolamento. La situazione resta dunque particolarmente «delicata e complessa», come spiegato da ultimo anche dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano.

Contro il 45enne cooperante veneziano, per il quale si sono mobilitate migliaia di persone per chiederne la liberazione, sono state mosse accuse di cospirazione, giudicate del tutto prive di fondamento e strumentali dal momento che Trentini si trovava in Venezuela per motivi umanitari e per portare aiuto alle popolazioni disagiate. Da metà novembre, i familiari di Trentini, residenti al Lido e difesi dall’avvocato Alessandra Ballerini, non hanno più avuto notizie del figlio.
Dentro al carcere
Ulteriore elemento di preoccupazione ora arriva dal nome del carcere nel quale il cooperante è detenuto. Quello di El Rodeo I è infatti un nome tristemente noto alle organizzazioni internazionali per la tutela dei diritti umanitari.
Nel giugno del 2024, una lettera firmata tra le altre da Amnesty International (oltre che dalla fondazione per il giusto processo legale, l’ufficio di Washington per l’America Latina e il Centro per la Giustizia e il diritto internazionale) e inviata al ministro del potere popolare per il servizio penitenziario del Venezuela, lanciava l’allarme sulle condizioni di detenzione nella struttura posizionata a trenta chilometri dalla capitale Caracas.
«Secondo le informazioni che abbiamo ricevuto, le condizioni di detenzione a Rodeo I sono crudeli, disumane e degradanti e, in alcuni casi, potrebbero equivalere a tortura», si legge nel documento, «chiediamo che sia garantita la sicurezza e la vita di tutte le persone sotto la vostra custodia, comprese quelle detenute arbitrariamente per motivi politici, il cui rilascio chiediamo immediatamente e incondizionatamente».
Le condizioni di salute
Secondo le associazioni umanitarie, le carceri venezuelane sono caratterizzate da gravi carenze strutturali, sanitarie e di sicurezza, oltre che dalla mancanza di accesso a servizi di base quali acqua e cibo.
Dentro al Rodeo I, le autorità carcerarie sottoporrebbero «intenzionalmente i prigionieri a condizioni particolarmente crudeli e disumane per intimidirli in quanto percepiti come oppositori politici o dissidenti».
«Una volta trasferiti al Rodeo l» , concludono le associazioni, «ogni detenuto sarebbe stato sottoposto al cosiddetto “periodo di riflessione”, che consiste in un periodo prolungato di 30 giorni di isolamento in condizioni disumane, sottoposti a condizioni igieniche e sanitarie disumane e degradanti, come la mancanza di carta igienica, l’acqua non potabile che ricevono attraverso un tubo e il dormire su letti di cemento senza materassi o coperte. Inoltre, durante le visite dei familiari, i propri cari vengono perquisiti e incappucciati all’ingresso nel centro».
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