Tra tasse e false promesse restiamo sempre mazziati
i dispensatori di esche allettanti e inutili, bastano pochi urticanti dati
Tassati e mazziati. Come prima, più di prima, anche questa sconfortante caciàra da campagna elettorale prende in giro gli italiani battendo sul tasto delle tasse: con promesse di tagli, riduzioni, semplificazioni, destinati a finire nel cestino un minuto dopo il voto.
Soprattutto perché nessuno indica dove e come si troverebbero i soldi per coprire i mancati introiti, in un Paese che già viaggia vicino ai tremila miliardi di debito. Basta fermarsi all’esca più allettante, la flat tax, che da sola andrebbe a creare un buco da 58 miliardi. Recuperabili con la lotta all’evasione, sostengono i partiti: ritornello ricorrente, smentito dal fatto che oggi vengono sottratti al fisco 110 miliardi, e che appena 400mila italiani denunciano un reddito superiore ai 100mila euro; e gli altri 59 milioni e mezzo, tutti accattoni?
A sbugiardare i dispensatori di false promesse bastano pochi ma urticanti dati. La pressione fiscale nel nostro Paese è in costante crescita da oltre vent’anni, toccando il 43 per cento del prodotto interno lordo, a fronte di una media dei Paesi Ocse del 34; per le imprese, la quota sfiora il 50. Siamo quinti al mondo per pressione fiscale; con la sostanziale differenza che negli Stati che ci precedono una parte consistente delle tasse viene restituita con welfare e servizi di prim’ordine, mentre da noi sono all’ordine del giorno balzelli aggiuntivi, disservizi, inefficienze conclamate.
Per tutto questo, ciascuno di noi, neonati e grandi anziani compresi, versa in media oltre 9mila euro l’anno; che comunque non bastano, visto che la spesa pubblica continua a lievitare, ed è giunta a 3 miliardi al giorno.
A questa spremitura fiscale si aggiunge un’ulteriore aggravante: pagare le tasse in Italia non è solo esoso, è pure un rompicapo. Il groviglio di imposte di ogni tipo determina in media due scadenze a settimana, con un dispendio di tempo valutato in 240 ore l’anno, il doppio dei principali Paesi europei.
Per giunta, con una concentrazione ribalda: il 22 agosto scorso, gli adempimenti in scadenza erano ben 179 (8 solo per l’Irpef, 20 per le addizionali, 35 per le ritenute, 20 per l’Iva…), con un incasso per lo Stato di 40 miliardi. Come non bastasse, sugli inermi contribuenti sta per abbattersi un’ulteriore mazzata fuori programma: sono in arrivo cinque milioni di cartelle esattoriali rimaste in sospeso nel 2020 e 2021 causa Covid, per un importo di una decina di miliardi. Il tutto con le bollette di gas e luce che esondano, e con il caro-vita che impazza.
Anche qui, i partiti ab illo tempore promettono di disboscare la giungla fiscale, ma se ne dimenticano subito dopo essere passati alla riscossione del voto.
Eppure ce ne sarebbe, da lavorare di machete: per limitarsi a pochi esempi, oggi si paga una tassa perfino sulle tende parasole, se ne versano ben tre diverse sui decessi, e si continua a corrisponderne una sulle paludi, istituita nel 1904 ai tempi delle bonifiche… Come reagire, di fronte alle prese in giro elettorali? Un rimedio ci sarebbe: tassare le promesse non mantenute; col risultato magari di sanare la voragine del debito pubblico. Ma non c’è da farsi illusioni: questi partiti diventerebbero campioni dell’evasione.
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