Dal tunnel carpale all’ansia, ecco cosa fa ammalare le donne
Nel 2024 le malattie professionali femminili sono aumentate del 18%. La Cgil del Veneto: «Troppo spesso i medici di base le sottovalutano»

Sindromi del tunnel carpale, depressione, ansia, insonnia, e poi mal di schiena, artrosi e artrite: la lista di malattie professionali accusate dalle lavoratrici venete è lunga e, nel 2024, le denunce sono aumentate del 18% rispetto all’anno precedente.
«Un dato» spiega Silvana Fanelli, della segreteria Cgil Veneto, «che mostra anche più consapevolezza da parte delle donne, che segnalano sempre più queste situazioni».
I numeri, spiega, sono comunque sottostimati, perché «c’è il timore di perdere l’idoneità alla mansione lavorativa, se non proprio il lavoro, quindi le donne spesso non denunciano. Inoltre, spesso manca attenzione a questo aspetto da parte dei medici di base» aggiunge.
La ripetitività e gli stipendi
Le donne non si ammalano di più solo per la ripetitività di certi compiti in cui è richiesta una manualità fine che, a lungo andare, si traduce in problemi fisici, come nel settore dell’occhialeria e dell’elettronica, non è solo un discorso legato al sollevamento dei carichi, ma anche all’ambiente lavorativo più in generale.
«Modelli lavorativi che sono tarati sugli uomini, divari retributivi e differenze contrattuali, molestie, tutto ciò porta inevitabilmente a carichi di stress non da poco» prosegue Fanelli.
D’altronde, i numeri elaborati dall’Istituto di ricerche economiche e sociali del Veneto (Ires) parlano chiaro: nel 2023 le donne guadagnavano il 29% in meno dei colleghi uomini, divario cresciuto ulteriormente rispetto al 2022, quando era del 18%. Non solo, le donne sono penalizzate qualsiasi ruolo svolgano: dalle operaie alle dirigenti, lo stipendio è comunque più basso di quello percepito dai colleghi uomini, a parità di mansioni. Al tempo stesso, non solo percepiscono di meno, ma ben il 42% delle assunzioni femminili a tempo indeterminato del 2023 era part-time, contro il 16% degli uomini.
Modelli culturali
«A pesare», spiega Tiziana Basso, segretaria generale Cgil Veneto, «è il discorso culturale, il fatto che il lavoro di cura sia ancora un appannaggio femminile e, di conseguenza, le donne non riescano ad essere flessibili come gli uomini, aspetto che si ripercuote sulla tipologia contrattuale».
Aspetto, questo, che inevitabilmente si collega ai servizi per la prima infanzia e gli anziani: oggi le donne lavoratrici non devono solo occuparsi dei figli ma, il più delle volte, anche dei genitori anziani. Gli asili nido, però, hanno rette che spesso sono inaccessibili, per le case di riposo le liste d’attesa impongono pazienza e, nel mentre, sono le donne che devono occuparsi di bambini e anziani, a discapito del loro lavoro. «Siamo nel 2025, dovremmo aver superato la necessità di dover scegliere tra famiglia e lavoro, eppure non è così» prosegue Basso che sottolinea come il divario retributivo, poi, le donne se lo trascinano per tutta la loro vita perché, inevitabilmente, si ripercuote anche nella pensione.
Come migliorare
Da dove iniziare, come fare, per migliore questa situazione? «La strada è lunga» commenta rammaricata Basso, «i diritti non sono per sempre ed è necessario tutelarli. Ci sono voluti 20 anni per vedere una crescita della presenza femminile nel mondo del lavoro, ma questo è ancora precario, povero, non sicuro. E, spesso, diventa segregazione. Serve un cambio culturale rispetto al lavoro di cura, tema che è anche normativo» ribadisce. Serve ripartire e cambiare ciò che avviene tra le mura domestiche, quindi, investire nelle politiche di supporto all’infanzia e all’anzianità, per permettere alle donne di non essere costrette ancora una volta a scegliere. E a sacrificare il loro potenziale. —
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