Caserma Serena a Treviso, l’hub per profughi mai chiuso

IL REPORTAGE / Nel 2018 l’allora ministro degli Interni Salvini promise la chiusura: domani il centro di accoglienza taglierà il traguardo degli 8 anni di attività
Federico Cipolla

Era il 2018 e l’allora ministro degli Interni Matteo Salvini prometteva la chiusura dell’hub all’ex caserma Serena. Lunedì il centro di accoglienza tra Treviso e Casier festeggia 8 anni. Nel vero senso della parola. «Ci sarà musica e qualche spettacolo nel pomeriggio, tra le 16 e le 20.30. Non conosco bene il programma, perché vogliono fare una sorpresa». A parlare è Gian Lorenzo Marinese, presidente della Nova Facility, la società che fin dal primo giorno gestisce l’hub all’interno dell’ex caserma Serena. «Dormiamo anche in 12 in una stanza, per mangiare ci facciamo venire a prendere da amici perché quello che ci viene dato è immangiabile. Non c’è nulla da festeggiare». Parole, queste, di un ospite della caserma Serena, arrivato alcuni mesi fa nell’hub trevigiano, dopo avere trascorso un lungo periodo a Lampedusa.

Anche i numeri divergono. Quello ufficiale, confermato da Marinese, è di 460 richiedenti asilo; 680 secondo l’ospite. Cifre diverse e lontane. Ma che in comune hanno un dato: la pressione nell’hub più grande della provincia (altri 400 sono ospitati nell’altro centro alla Zanusso di Oderzo) sta crescendo. Il sindaco Mario Conte solo un paio di giorni fa parlava di circa 440 ospiti, ma venerdì ne sono arrivati 18; e a breve ne giungeranno altri. «C’è ancora qualche posto a disposizione, ma siamo vicini alla saturazione. Da giugno gli arrivi si sono intensificati», ha precisato Marinese. Il picco è stato toccato nel 2017, quando all’interno dell’ex caserma dormivano 750 profughi.

L’hub è ancora oggi inaccessibile dall’esterno. La stampa non ha mai potuto entrare, e anche per sindaci e politici l’apertura dei cancelli non è scontata. Motivo per cui, per raccontare come si vive all’interno, ci si deve sempre affidare ai racconti di chi ogni giorno può varcare quei cancelli.

Uno degli ospiti è davanti alla caserma, in auto con un amico. «Come si vive qui dentro? Posso parlartene, ma non qui, sennò rischio l’espulsione. Seguici». Percorriamo alcune centinaia di metri, l’auto accosta. Fanno un cenno, «vieni dentro». Basta sedersi sul sedile posteriore, con i finestrini chiusi perché inizi lo sfogo. «Siamo molti di più di quello che dicono, siamo 680. E abbiamo soli sei bagni per gli uomini e sei bagni per le femmine. Se tutte le docce sono aperte contemporaneamente, esce un rivolo d’acqua, è impossibile lavarsi».

Le camere sono affollate, di certo molto di più rispetto a quando all’ex caserma Serena dormivano i militari dell’esercito. «Le camerate sono quasi tutte da 8, ma ce ne sono alcune in cui si dorme in dodici, divisi in quattro letti a castello. Con questo caldo è impossibile dormire», aggiunge. Con il cibo non va meglio, a sentire il racconto. «Non è poco, ma è immangiabile. Ci viene servito cibo del giorno prima, molti di noi quando escono dalla caserma si fanno accompagnare a mangiare».

All’interno dell’hub ci sono decine di etnie, dal Bangladesh alla Costa D’Avorio, dal Pakistan al Senegal. Tensioni e organizzazioni interne basate sulle diverse provenienze sono inevitabili, «ci sono spesso tensioni. Per esempio nei confronti dei bengalesi. Siccome chi gestisce la caserma sa che appena qualcosa non va vanno in prefettura a protestare, hanno un trattamento di favore. Sono gli unici che possono uscire prima delle 8 di mattina. Ci sono gruppi che ricevono i documenti, come la tessera sanitaria, prima di altri. Se non stai “simpatico” la tua pratica resta ferma e altre invece vanno in porto in pochi giorni», aggiunge. Cure e medicine? Il copione descritto non cambia. «Se stai male di notte puoi essere sicuro che nessuno interverrà. Qualsiasi cosa tu abbia, i farmaci sono sempre e solo due: paracetamolo e Efferalgam».

Il profugo denuncia anche una scarsa tolleranza da parte degli operatori nei confronti di chi protesta. «Due settimane fa sono venute alcune persone dalla prefettura. Un ospite in particolare si è lamentato di tutte questo. Il risultato? Anche se non ufficialmente è stato messo fuori dalla caserma».

Marinese smentisce categoricamente ci siano trattamenti particolari e favoritismi. «Questa dei bengalesi proprio mi è nuova, anche perché non protestano mai. Alcuni documenti sono in ritardo perché da giugno sono cresciuti gli arrivi. Ma in caso di necessità la questura risponde sempre prontamente. Sul cibo neanche rispondo, da otto anni abbiamo lo stesso fornitore, la Ottavian di San Vendemiano. E i bagni non sono sei, ma sessanta. Forse sei saranno nel loro corridoio».

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