Il centrodestra pronto a tagliare i ballottaggi: subito sindaci col 40%

La proposta dei capigruppo di maggioranza al Senato per correggere la legge elettorale nei Comuni con più di 15 mila abitanti. Il secondo turno si rivela spesso favorevole al centrosinistra. La novità probabilmente già dall’anno prossimo, al voto 155 Comuni tra cui Venezia

 

Carlo BertiniCarlo Bertini
Pronta una modifica della legge elettorale per eliminare i ballottaggi
Pronta una modifica della legge elettorale per eliminare i ballottaggi

Il primo blitz è andato a vuoto, perché gli avversari lo hanno fatto saltare alzando le barricate. Ma come quelli che combattono in stato di inferiorità numerica sanno di essere destinati a perdere, così i partiti di centrosinistra sono rassegnati a veder crollare il baluardo che da 30 anni gli ha consentito di sbaragliare il nemico in centinaia di comuni italiani: quel doppio turno foriero di plurime sconfitte dei candidati della destra.

Anche in virtù di una sorta di conventio ad excludendum che, come in Francia, ha impedito di frequente alla destra di andare al potere nelle città. Ma più spesso per la scarsa propensione degli elettori di destra a tornare alle urne due volte di seguito, al contrario di quelli di sinistra, più disciplinati e militanti. E come vuole superare l’impasse il centrodestra? Con una leggina per far vincere i candidati sindaci che raggiungano il 40% dei voti ed eliminare un secondo turno sempre insidioso. Sperando di vincere così in decine di Comuni che andranno al voto nel 2026, tra cui Venezia, ma non solo.

Con l’arroganza dei vincenti, le forze di maggioranza hanno prima tentato una manovra spericolata: infilare questa leggina nel decreto che disciplina la tornata di votazioni locali di questa primavera, chiarendo che la nuova legge elettorale per i sindaci sarebbe però entrata in vigore al prossimo giro. Peccato che vi fosse già una sentenza che stabilisce il divieto di inserire nei decreti di convocazione delle elezioni qualsiasi altra norma. Tantomeno una che cambi le regole in corsa.

Neanche a dirlo, le opposizioni hanno gridato allo scandalo e il colpo è stato sventato. Ma è quasi sicuro che l’anno prossimo nei 155 Comuni sopra i 15 mila abitanti che andranno al voto nel 2026, tra cui quattro in Veneto (Venezia, Lonigo, Portogruaro e Castelfranco) i cittadini voteranno in un turno unico: one shot e niente seconda prova per chi avrà superato il 40% di preferenze.

E così sarà in decine di altri campanili importanti, come Aosta, Trento, Bolzano, Mantova, Grossetto, Arezzo, Macerata; e al sud Matera, Reggio Calabria, Enna, Agrigento.

Dopo il blitz fallito, le forze di maggioranza hanno depositato la legge sub judice, che ribalta quella del 1993, la più amata dagli italiani secondo i sondaggi. Ma il nuovo presidente della Consulta, Giovanni Amoroso, ha già fatto capire che non sarà un percorso privo di ostacoli. E che ha già forti perplessità, quindi vuole vedere bene il testo di un solo articolo depositato pochi giorni fa al Senato da Lucio Malan, capogruppo di Fratelli d'Italia e dagli altri capigruppo di maggioranza, Massimiliano Romeo della Lega, Maurizio Gasparri di Forza Italia.

La norma vuole introdurre un sistema che, come si legge nella relazione introduttiva, è adottato già in Sicilia, Friuli Venezia Giulia e Toscana. Con l’argomento che l’attuale sistema elettorale a doppio turno «ha spesso prodotto una distorsione nell’esito delle elezioni amministrative che rischia di diventare, a oggi, patologica, dato che al ballottaggio c'è una sempre minore partecipazione da parte degli elettori, con la conseguenza che molti sindaci sono eletti al secondo turno con una partecipazione popolare molto ridotta e, quindi, con ripercussioni negative sulla loro legittimazione».

Come esempio, la relazione cita quello del 2023 a Udine dove «il candidato del centrodestra aveva ottenuto 19.524 voti, mentre quello del centrosinistra 16.762; il ballottaggio ha ribaltato la situazione e il candidato del centrosinistra è diventato il nuovo sindaco solo con 18.576 voti».

Ma il presidente Amoroso mette le mani avanti: «Vediamola questa norma e poi ci ragioniamo». Dalle premesse si profila dunque un altro scontro istituzionale. 

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