Asparago, regole e costi alti: i produttori lasciano il Consorzio Igp di Badoere

Il presidente Benozzi: «Faticoso e poco redditizio tenere la denominazione Igp». Pesano anche la difficoltà di reperimento di manodopera e il ruolo della Gdo

Lorenza Raffaello
Una coltivazione di asparagi
Una coltivazione di asparagi

La superficie dedicata alle coltivazioni di asparagi in un anno è calata del 24% e i soci del Consorzio dell’asparago Igp di Badoere denunciano una situazione sempre più drammatica: gli effetti del cambiamento climatico, la difficoltà di reperire manodopera, le normative sempre più stringenti e il settore sempre più frammentato, sono le motivazioni principali di una trasformazione che pare essere radicale.

E, così, la Marca perde gli asparagi: Badoere potrebbe essere privata dell’appellativo di capitale dell’asparago e i suoi coltivatori abbandonare il Consorzio, lo stesso che li ha resi famosi in tutto il mondo, ma che oggi richiede sacrifici troppo alti, a loro detta, soprattutto in termini economici. E, in tutto questo, la grande distribuzione, diventata la maggiore commerciale, regola il mercato, a cominciare dalla leva del prezzo.

Il consorzio

«Il Consorzio dell’asparago Igp di Badoere ha sempre raggruppato i migliori produttori», spiega Carlo Benozzi, il suo presidente, «oggi gli associati stanno pensando di andarsene perché per ottenere la certificazione devono ogni anno sottoporsi a normative che sono sicuramente giuste, ma sono eccessive per un settore ad altissima artigianalità come il nostro».

Essere certificati richiede anche continui investimenti e costi aggiuntivi: «Per fare un esempio, chi non fa parte del Consorzio ha circa la metà della spesa rispetto ai soci. Negli ultimi anni sono sorti un insieme di problemi che porta l’agricoltore a scoraggiarsi. In tanti si stanno chiedendo se valga ancora la pena produrre e certificare».

Manodopera

Un altro fattore che incide sulla difficoltà di portare avanti la coltura degli asparagi è quello della manodopera: «C’è un frazionamento da parte dell’agricoltura, non ci sono più le grandi aziende di una volta, che potevano garantirsi la manodopera», conferma Benozzi, «l’agricoltura non è come una fabbrica dove c’è una continuità di lavoro. È difficile trovare delle persone disposte a lavorare per un periodo ristretto di tempo, ma tutti i giorni: l’asparago devi raccoglierlo anche se piove o è festa. Poi, sono state inserite nuove normative da rispettare, capiamo che servono per prevenire situazioni di criminalità, ma per noi piccoli produttori è un problema. Ci dicono che dobbiamo mettere a norma la manodopera, ma come facciamo se la spesa per farlo è più alta della redditività del prodotto?», si chiede. «Un’altra criticità è che sta venendo meno il passaggio generazionale all’interno delle aziende agricole: i figli non vogliono continuare il lavoro dei padri che, non trovando braccia da inserire, decidono di chiudere una volta andati in pensione».

I produttori

La coltivazione dell’asparago è quindi destinata a sparire? «Non credo, anzi, bisognerebbe averne tanto di più, perché la richiesta è alta, e purtroppo le aziende non si organizzano. Le realtà che non sono strutturate perdono il controllo e, di conseguenza, ridurranno il mercato. Non esistono commerciali adeguate, il settore sarà gestito dalla grande distribuzione, già oggi ha in mano circa l’80% della commercializzazione. I produttori dovrebbero aggregarsi, fare squadra e uscire con un marchio che raggruppi tutti, solamente così possono riprendere il controllo e far prosperare la coltura nel mondo». —

 

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