Questione di accenti: quando una goliardata viene scambiata per un (finto) insulto

“Anera m...” era un cartello affisso in strada in provincia di Treviso. Una donna di colore se l’è visto davanti a casa ed ha gridato al razzismo: ha inteso ci fosse scritto “a-nera”. Ma si trattava dello scherzo di alcuni ragazzi in occasione del matrimonio dell’amico soprannominato “ànera”, cioè anatra

Il cartello incriminato
Il cartello incriminato

 

Tutto per colpa di un accento: ne nasce un fraintendimento che fa urlare qualcuno al razzismo e divide i social tra indignati e dubbiosi. Quel cartello “Anera m...” ha fatto (e fa) parlare.

Siamo a San Vendemiano, in provincia di Treviso. E’ qui che una donna di origine nigeriana, da molti anni in Italia, si trasferisce. E il 5 ottobre scorso trova fuori dalla sua casa, appeso ad un palo della luce, un cartello realizzato su cartone e ricoperto di plastica antipioggia. Il messaggio è scritto a lettere maiuscole bianche: “Anera m...”, con tanto di parolaccia.

La donna, che evidentemente non conosce il dialetto trevigiano, ha interpretato quel cartello come rivolto a lei stessa. “Anera”, secondo il suo pensiero, era “A – nera”, donna di colore. Cioè lei.

Apriti cielo. Oltre due mesi dopo l’affissione del cartello, su un quotidiano locale la diretta interessata ha urlato al razzismo, sostenendo che quello fosse un messaggio direttamente indirizzato a lei da qualcuno che evidentemente non gradiva la sua presenza nel quartiere.

Ma, si diceva, era solo una questione di accento.

Perché “anera” non ha il significato dato dalla donna di colore. “Anera” è il soprannome di un ragazzo di Campolongo, quartiere di Conegliano, che gli amici goliardicamente chiamano “anatra”.

"Anera”, ossia Marco, si è sposato il 5 ottobre. E gli amici hanno tappezzato il percorso dalla casa dei genitori alla chiesa con i soliti cartelli per canzonare gli sposi. Tra cui, appunto, quel “Anera m...”.

«Bisogna fermare questa falsa notizia», racconta il novello sposo, stupito e amareggiato per quello che sta succedendo, «Andrò a parlare con il sindaco e se vuole andiamo insieme a trovare la signora per spiegarle. Ho le foto di tutti i cartelli che erano stati messi e anche la mappa di dove erano stati collocati». 

Nei giorni successivi al matrimonio, tutti i cartelli erano stati tolti dagli amici dello sposo. Solo quello incriminato non era stato più trovato.

Risolto il pasticcio dialettal-interpretativo, resta una domanda. Ma perché Marco lo sposo è detto “anera”? «I miei amici fin da piccolo mi soprannominano così: a 13 anni avevo un piccolo allevamento di anatre».

 

 

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