Addio al preside Giorgio Meo, diresse le scuole Martini e Stefanini a Treviso

E’ stato un dirigente scolastico illuminato, un riferimento per l’istruzione nella Marca. Aveva 82 anni ed era anche psicopedagogista

Andrea Passerini
Giorgio Meo
Giorgio Meo

Una vita interamente dedicata alla scuola, alla formazione dei ragazzi nel segno dei valori più alti. Ottantadue anni spesi per la crescita umana e didattica dei giovani, quelli intensamente vissuti da Giorgio Meo, docente e preside di Martini, Stefanini (e poi, in pensione, anche del Fleming), psicopedagogista. È spirato domenica 16 febbraio dopo tre anni di lotta con un male inesorabile.

Nono di nove figli, e subito orfano di madre, Meo si era laureato in pedagogia dopo le magistrali, e successivamente in psicologia.

Cominciò insegnando italiano, storia, geografia e latino, anche alle Stefanini, dove sarebbe tornato da dirigente a fine degli anni ’90, dopo aver diretto le Martini. È stato certo un preside illuminato, di assoluto riferimento per la scuola trevigiana, che ha vissuto in pieno le grandi trasformazioni: dalla nascita dei comprensivi all’introduzione di seconda lingua e informatica, dall’inserimento dei disabili al bullismo, già monitorato nei primi anni 2000. E poi il peso degli zaini, le riforme, le riorganizzazioni degli istituti cittadini.

E certo di frontiera sull’integrazione dei bambini immigrati: pioniere con i primi corsi pubblici di alfabetizzazione, e le iniziative di rinforzo linguistico ideate con i docenti per compensare il gap dei bambini che arrivavano in Italia senza alcuna competenza.

«Gli immigrati sono un elemento di grande arricchimento culturale per gli alunni», amava dire, «a condizione che vengano distribuiti in maniera omogenea nelle classi e non si arrivi a situazioni di eccessiva concentrazione». Ce l’aveva però con «l’eccesso di riforme e la moltiplicazione di regole e direttive dei diversi governi», senza, diceva, «che si desse tempo alle scuole di sedimentarle».

Era andato in pensione nel 2009, ma aveva accettato l’offerta del Fleming, istituti privato aeronautico. Per lui era una missione, la scuola: «Non sapeva starne lontano», dice chi ha lavorato con lui, sottolineandone la gentilezza. Non disdegnando l’attività di psicologo.

Uomo colto, ironico, nella vita e a scuola, amava camminare, i libri, il mare, i motori (la sua Porsche). Negli anni ’80 era entrato nella Dc, e con la politica ci aveva riprovato, invano, più recentemente.

Lascia, dopo 60 anni di matrimonio, la moglie Rosamaria («È stato un marito esemplare», dicono gli amici), le figlie Silvia, docente, Valentina e Sabrina, i dieci amatissimi nipoti, il fratello Silvano e la sorella Gisella.

Giovedì 20 febbraio alle 14.30, nella chiesa di San Bartolomeo Urbano i funerali

 

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