Case di riposo sature, nel Trevigiano tremila anziani in attesa di un posto
Le domande sono aumentate del 25 per cento negli ultimi tre anni. Sos di Uripa e Comitato del malato: nessuna nuova struttura in arrivo

In provincia di Treviso si contano circa tremila anziani in lista d’attesa per entrare in una Rsa. Negli ultimi tre anni la domanda è aumentata del 25% nel nostro territorio e servirebbero almeno il 20% di posti letto in più nelle case di riposo per far fronte al fabbisogno attuale. Non ci sono, all’orizzonte, nuove case di riposo in costruzione.
Anzi: la chiusura annunciata della Rsa di Cavaso del Tomba pone il tema del ricollocamento dei suoi ospiti.
L’analisi
Ad oggi, le cinquanta strutture della Marca sono perennemente sature (in totale hanno circa 5 mila ospiti), le graduatorie scorrono a singhiozzo, si dà priorità ai casi pluri-patologici, non più gestibili a casa e con disturbi del comportamento, ma anche questo criterio di collocamento, basato sull’estrema gravità dell’utente, non riesce più a fare da filtro e si aspetta mesi per entrare in Rsa.
«Siamo arrivati al punto di non ritorno. Non ci sono risorse per l’edilizia legata all’assistenza dell’anziano, il tema non è presente nell’agenda politica della nostra Regione e nemmeno ai livelli più alti. Il risultato è che oggi il posto in casa di riposo si libera solamente quando un altro ospite viene a mancare, siamo quotidianamente tempestati di telefonate di familiari che cercano un letto, ma la verità è che non ce li abbiamo. Viene da chiedersi verso che tipo di società stiamo andando» commenta Roberto Volpe, presidente Uripa (Unione regionale istituti per anziani della regione veneta).
Le famiglie
«L’emergenza anziani è un problema sempre più grave e sentito dalle famiglie» aggiunge Marina Damini, alla guida del Comitato per i diritti del malato di Treviso che sta seguendo con attenzione la vicenda della chiusura della Rsa Binotto a Cavaso del Tomba e la necessità di dover ricollocare i 53 ospiti.
In Veneto si parla di diecimila posti in Rsa ad oggi mancanti rispetto all’effettiva domanda e, in prospettiva, la situazione si aggraverà.
A suggerirlo è la demografia: le persone anziane sono sempre più numerose, nel 2050 i veneti ultraottantenni saranno il doppio rispetto ad oggi (da 370 mila a 640 mila) e il 70% vivrà da solo, con pensioni più basse e minore capacità di spesa. La fotografia attuale già presenta delle difficoltà: le famiglie faticano ad accudire l’anziano a casa quando subentra una disabilità.
«Bastano una rottura di femore o la demenza per mandare in crisi una famiglia, quando il genitore viene dimesso dal ricovero ospedaliero cambia tutto, ci si imbatte nella burocrazia e nell’urgenza dell’accudimento, inizia allora la ricerca della struttura e spesso non c’è posto» aggiunge Damini.
Le famiglie messe alla prova iniziano così una corsa disperata alla ricerca di soluzioni tra badanti, domanda alle Rsa, accudimento in proprio.
«Tutti parlano della crescita esponenziale della non autosufficienza, ma nessuno si focalizza sui dati, manca una strategia nel nostro Paese» segnala il Comitato per i diritti del malato.
Le priorità
«Nonostante il futuro sia chiaro, all’orizzonte non ci sono investimenti pubblici per l’assistenza legata all’anziano» denuncia invece Volpe, «non ci sono risorse per costruire nuovi centri servici pubblici, né per sistemare quelli già esistenti. Ad oggi dei 33 mila posti letto presenti in Veneto il 65% è dato da stanze con letti doppi o tripli».
Nel frattempo, il privato avanza, ma le rette a carico delle famiglie non possono essere alla portata di tutti e le risorse per integrare le quote e sgravare le famiglie sono bloccate.
«Ci sono state aperture di realtà private a Istrana e Ormelle, ad esempio, ma resta il tema della loro accessibilità. Lì entra solo chi se lo può permettere» prosegue Volpe.
Altro nervo scoperto riguarda il personale delle Rsa. Servirebbero oggi a livello regionale settemila tra oss e infermieri.
«Il punto è che non si trovano e questo determina anche un peggioramento della qualità delle nostre strutture, ma nulla si fa per valorizzare queste figure professionali. In Italia è dal 1996 che si parla di un liceo sociosanitario, ma siamo fermi all’anno zero».
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