In provincia di Treviso crescono gli anziani ma diminuiscono le badanti
Il paradosso nella Marca: aumenta la longevità ma cala il personale per l’assistenza. Irone (Cgil): «Le famiglie rinunciano a regolarizzare». L’amministratore Gallas: «Servono maggiori incentivi»

Il paradosso: sempre più anziani, sempre meno colf e badanti.
Nella Marca esiste una relazione inversamente proporzionale tra il numero in crescita esponenziale degli over 75 e il numero di badanti e colf che si occupano di loro a tempo pieno. Secondo l’Osservatorio Domina il numero di lavoratori domestici è diminuito per il terzo anno consecutivo.
Nel rapporto 2024, con dati relativi al 2023, le colf attive con contratti regolari sono state 4.283, l’anno precedente, nel rapporto 2023, erano mille in più: 5.200. Andando indietro ancora di un anno nel rapporto del 2022 sul 2021 i colf erano 5.700.
Stesso andamento anche per le badanti, nell’ultima edizione di Domina sono 5.772, l’anno precedente erano 5.876, nel 2022 erano 6.221.
Si tratta per il 92% di donne, provenienti per oltre il 51% dall’Est Europa. Hanno per lo più un contratto che copre 50 ore lavorative e hanno il ruolo di assistere persone non autosufficienti pur non avendo un diploma o una specializzazione ufficiale per farlo.
Il trend, dunque, è inequivocabile. Ma come è possibile spiegare una tale flessione, quando i bisogni, invece, si impennano?
«Siamo di fronte ad un calo dei contratti registrati del lavoro ufficiale, un dato che in linea di massima si discosta dalle proiezioni dell’invecchiamento della popolazione e dalle maggiori necessità dei cittadini», afferma Alberto Gallas, amministratore e fondatore del gruppo di origine friulana che conta 40 filiali nel Nord Est, di cui 2 a Treviso e che nella Marca gestisce più di 700 lavoratori, «Non è diminuita la necessità di assistenza, a calare è solo il lavoro regolare. È intuibile che la forbice tra lavoro nero e regolare sia aumentata molto» e continua, «nel periodo Covid c’era stato un forte aumento dei contratti registrati perché erano l’escamotage per far lavorare e, di conseguenza, far uscire di casa le persone, passato questo periodo dal 2022 in poi non ci sono stati grandi incentivi destinati alle famiglie per regolarizzare i lavoratori per cui calano i contratti regolari. Il modo per invertire il trend sarebbe quello di assicurare degli incentivi alle famiglie per la regolarizzazione dei rapporti. Servono maggiori possibilità per poter usufruire di detrazioni fiscali soprattutto per le famiglie che hanno in carico persone non autosufficienti».
Secondo Alberto Irone della Filcams Cgil di Treviso la scelta delle famiglie di non assumere lavoratori domestici con contratti regolari dipende da due fattori: «I salari dei trevigiani non permettono più di poter contare su un aiuto esterno: le famiglie si trovano a fare i conti con innalzamento dell’inflazione e con la perdita di potere d’acquisto, per questo rinunciano a formalizzare i rapporti con badanti e colf. Una situazione che potrebbe portare a privilegiare rapporti irregolari e favorire il lavoro in nero».
Ma che differenza c’è a livello salariale tra chi è assunto e chi lavora invece in modo irregolare? «Ci sono delle tabelle con i requisiti minimi di paga, comparando le due posizioni la differenza è tra i 150 e i 200 euro mensili», spiega Gallas, «Una cifra irrisoria se si pensa al rischio a cui può andare incontro il datore di lavoro sia in caso di infortunio della lavoratrice, ma anche nel momento in cui il rapporto si interrompe per qualche motivo. Capita spesso che le lavoratrici in nero si rivalgano sui datori di lavoro. Chi sceglie di far lavorare una badante o una colf in nero lo fa per disinformazione, perché non sa quello che rischia. E la crisi non c’entra nulla perché si tratta di un servizio per un bisogno primario, non c’entra la questione economica. Quello che servirebbe è la sicurezza di poter usufruire di incentivi per regolarizzare il lavoratore. In questo caso i numeri cambierebbero», conclude Gallas.
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