Slowfood loda solo tre locali, guida alle osterie “indigesta”

Sono Pironetomosca a Castelfranco, i Mazzeri di Follina e Al Forno a Refrontolo. A secco il capoluogo, tanti locali doc ignorati. Le reazioni: «Mancanze assurde»

È autunno: fioriscono le guide gastronomiche. Quanto siano preziose lo sappiamo, così come sappiamo che non hanno la presunzione di essere infallibili. Soprattutto riguardo la “mappatura”, cioè ai locali che gli autori riescono ragionevolmente a visitare e a valutare. Così, quel che salta agli occhi nelle anteprime dell’iconica Osterie d’Italia 2020 firmata da Slow Food Editore (che il 17 settembre arriverà in libreria per la trentesima volta) sono le solo tre “chioccioline”, che segnalano le eccellenze, assegnate alle “Osterie” trevigiane.

Chi se le è aggiudicate? Sul merito non si discute, è cosa da buongustai ed esperti del settore. Nella lista fatta da Slowfood ci sono Pironetomosca di Castelfranco, Dai Mazzeri di Follina, e Al Forno di Refrontolo. Ma il progressivo decrescere - negli anni - delle “chioccioline” in provincia, nonché la loro assenza nel capoluogo, qualche riflessione la impone.

Perché, in attesa di scoprire tutti i locali trevigiani recensiti (saranno in tutto 1656, tra gli oltre 2000 visitati in tutta Italia dai 300 collaboratori della guida), qualche soddisfazione in più la tradizionalista cucina trevigiana poteva anche aspettarsela.

L’ambita chiocciolina non segnala più locali come la Locanda Baggio di Asolo, la Trattoria Dalla Libera di Sernaglia o il Basilisco di Treviso, che nelle passate edizioni si erano guadagnate uno spazio nella lista delle Osterie d’Italia ottenendo la menzione (come anche Da Mirka e Marcello a Segusino, l’agriturismo Mondragon e il Belvedere a Tarzo, La Pasina a Casier, la Trave ad Asolo, ...) e poi pure la chiocciola. Perché? Le scelte di grande qualità di questi che sono tout court ristoranti, più che “osterie”, implicano prezzi che già da tempo la Guida ha segnalato come tendenzialmente superiori a quelli di altri locali presenti, quindi potrebbe trattarsi di una semplice scelta di non concorrenzialità tra “categorie” diverse. Ma il resto?

L’osteria, evoluta o tradizionale, è uno dei perni della ristorazione trevigiana, tanto che altre Guide - più attente a valutare creatività gourmet - da tempo le rimproverano l’orgogliosa tradizionalità, accusata di frenare l’innovazione. Ma pur non citandone alcuna per non far torto ad altre (e certi che nella mente di chi legge affiorano nomi a profusione), siamo proprio sicuri che nel trevigiano le Osterie eccellenti - per ambiente, cucina, accoglienza e vicinanza alla filosofia Slow Food, come impongono i parametri dell’attribuzione della “chiocciola”- siano così poche, addirittura dimezzate rispetto lo scorso anno?

Perché tante meritevolissime osterie trevigiane non sono state prese in considerazione? Da Treviso a Conegliano, dalle colline asolane al Piave, dai monti alle campagne gli esempi si sprecano e tenendo conto anche dei criteri con cui Slow Food seleziona le “Osterie d’Italia” e assegna chioccioline. Era lecito aspettarsi qualche soddisfazione in più per la Marca, trattandosi della “guida delle Osterie”.

«Tre sole menzioni? Ridicolo, dove sono le osterie allora... in Puglia?» è il commento caustico di Annibale Toffolo, esperto della cucina di Marca, «qui ci sono locali che valgono non una chiocciola ... ma allevamenti di chiocciole... e non si capisce come possano non esserci. Il problema di queste guide spesso è che non testano davvero i luoghi e gli ambienti» dice, «una guida così deve essere fatta macinando chilometri. Il nostro è un rito, incredibile che non sia rappresentato. E poi, se si fa una guida delle osterie, di quelle si deve parlare, non di altro».

Ed è significativo il no comment di Arturo Filippini: «Le guide? Spesso non si capisce che parametri abbiano...».

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