"Rischiano di diventare cattedrali nel deserto"

L'affondo dell'assessore Camolei: «Comprendo la necessità di creare nuovi posti di lavoro, ma il rischio è che questa enorme struttura nel giro di dieci anni diventi l'ennesima cattedrale nel deserto»
Secondo le categori i centri commerciali rischiano di diventare cattedrali nel deserto
Secondo le categori i centri commerciali rischiano di diventare cattedrali nel deserto

TREVISO. Una maledizione, addirittura la peste. Di sicuro un modello commerciale oramai fuori dal tempo. Le associazioni del commercio e l'assessorato alle Attività produttive del Comune di Treviso bocciano in toto la nuova operazione commerciale a Silea che se, come nota positiva, porterà nuove assunzioni, a loro parere è comunque destinata a diluire ulteriormente i consumi odierni con il rischio che un domani, non così lontano, il nuovo insediamento commerciale si svuoti diventando l'ennesima “cattedrale nel deserto”.
«Comprendo la necessità di creare nuovi posti di lavoro, ma il rischio è che questa enorme struttura nel giro di dieci anni diventi l'ennesima cattedrale nel deserto», dice l'assessore del Comune di Treviso alle Attività produttive, Paolo Camolei. «Studi ed esempi a livello europeo, di città simili per dimensione a Treviso, dimostrano che lo sviluppo non è più legato a questo tipo di offerta commerciale. Oramai si punta allo sviluppo di strutture di medie dimensioni, però nel centro storico o nell'immediata prossimità. Altrimenti il rischio è di ritrovarci nella medesima situazione del centro commerciale di Willorba, dopo il trasferimento del Panorama, con migliaia di metri cubi di difficile riqualificazione. Abbattere quegli insediamenti per riconvertire la zona a una destinazione agricola non è cosa semplice, di sicuro dispendiosa».
Un modello superato, secondo Renato Salvadori, presidente di Confcommercio Treviso: oggi, lo sviluppo del commercio si gioca sul concetto di prossimità. «Il mercato è inarrestabile, ma quella delle grandi superfici è una maledizione: dinanzi all'evidente calo dei consumi, il crescere delle superfici è una vera e propria assurdità. Di contro in questi tempi il commercio più tradizionale ha una freccia nel suo arco, su cui deve puntare: la prossimità. E sfruttarla per riuscire a intercettare i bisogni più concreti e immediati del consumatore», spiega, «quello dei centri commerciali oramai è un modello superato. Ma non significa che debba essere cancellato: la convivenza tra grande distribuzione, commercio al dettaglio e botteghe storiche è possibile, ma ci vuole programmazione ad ampio raggio. Con operazioni di questo tipo il rischio è che i comuni e i loro sindaci semplicemente si innamorino degli oneri di urbanizzazione. Senza capire che operazioni del genere lasciano segni indelebili nel territorio».
Sabino Frare, presidente di Confesercenti Treviso paragona i centri commerciali alla peste: «Sentiamo il bisogno di un nuovo centro commerciale come della peste. I comuni li intendono come forme di modernizzazione, ma non è così: l'unica cosa che ottengono è far morire i centri urbani. Quello di cui c'è bisogno oggi è di politiche a sostegno delle piccole aziende commerciali. Un dato su tutti: statisticamente il 9% dei negozi muore entro il primo anno, la metà entro i primi 5. A peggiorare la situazione nuovi centri commerciali, oramai così tanti da non fare solo competizione al piccolo: si fanno guerra tra loro».

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