Forum alla tribuna con il questore di Treviso: «Patto con le famiglie per recuperare i ragazzi aggressivi»

Alessandra Simone ospite in redazione alla tribuna di Treviso per discutere di sicurezza della città: «Scuole e genitori entrino in gioco per aiutarci a tutelare i nostri figli. In centro non esistono le baby gang, ci sono gruppi di ragazzini di diversi contesti sociali e culturali»

Federico De Wolanski, Lorenza Raffaello, Rossana Santolin
Il questore di Treviso Alessandra Simone ospite del forum in redazione alla tribuna
Il questore di Treviso Alessandra Simone ospite del forum in redazione alla tribuna

Mai quanto in questo periodo il tema della sicurezza è diventato nevralgico a Treviso. Non solo per residenti, che si sono riscoperti più preoccupati di quanto non fossero alcuni mesi fa, ma anche per il questore di Treviso, Alessandra Simone, che a poche settimane dal suo insediamento, avvenuto il primo ottobre 2024, ha dovuto gestire, il 12 dicembre, l’omicidio di un 22enne, Francesco Favaretto, morto per mano di tre giovanissimi.

Da quell’episodio, c’è stato un cambiamento anche nella gestione dell’ordine pubblico: secondo il questore Simone, ospite mercoledì 12 marzo della redazione della tribuna, il rafforzamento dei controlli sta dando i suoi frutti anche senza, per ora, le zone rosse. Nella partita in cui è in gioco la sicurezza di tutti, un ruolo fondamentale è coperto dalle famiglie con cui, secondo il questore, è necessario lavorare insieme per tutelare i ragazzi.

Il forum con il questore Alessandra Simone, il direttore dei quotidiani del Gruppo Nem Luca Ubaldeschi e i giornalisti della tribuna
Il forum con il questore Alessandra Simone, il direttore dei quotidiani del Gruppo Nem Luca Ubaldeschi e i giornalisti della tribuna

È arrivata a Treviso da ormai sei mesi e non le è mancato il lavoro. Treviso, per come l’ha vissuta e la vede, è una città sicura?

«Sono convinta che lo sia, e lo confermano anche i dati e le classifiche nazionali che collocano Treviso tra le città più sicure d’Italia. Quel che c’è, semmai, è una percezione di insicurezza che non corrisponde però alla realtà dei fatti».

Ma allora a cosa è dovuta questa percezione?

«A come vengono descritte certe situazioni. E al fatto che qualcuno reagisca a questi avvenimenti con un “ho paura a uscire di casa” che invece non ha riferimenti nella realtà dei fatti. Treviso non è una città pericolosa».

L’omicidio di Francesco Favaretto, però, è un fatto. Come lo sono i tanti episodi di violenza giovanile avvenuti prima di quello, sempre in città.

«L’omicidio del 22enne Favaretto è stato un fatto drammatico, a cui la polizia ha dato subito risposta. Abbiamo identificato tutte le persone presenti quella sera, si è capito che l’omicidio è maturato in un contesto di vendita di stupefacenti e tossicodipendenze e oggi ci sono tre ragazzini in carcere. La risposta è arrivata e netta».

Ma la morte di un 22enne, accoltellato da coetanei alle sette di sera in pieno centro, mette in primo piano un tema: la criminalità giovanile. Che non è una percezione.

«Bisogna fare dei distinguo. A Treviso non esistono le baby gang, ci sono gruppi di ragazzini che si conoscono e si muovono alle volte con alcuni, altre volte con altri ragazzi. Giovani e giovanissimi espressione di diversi contesti sociali e culturali, trevigiani e non solo. Non ci sono gruppi malavitosi strutturati, ma ragazzi che hanno atteggiamenti che sono espressione di un disagio sul quale si può intervenire».

Voi, primariamente, siete intervenuti “militarizzando” la città: pattugliamenti misti tutti i fine settimana, tante identificazioni. Prima non avveniva.

«Militarizzare è un termine che non mi piace e non condivido. Quello che abbiamo fatto è rivedere l’organizzazione e la gestione dei controlli potenziandola in accordo con le altre forze dell’ordine. Identifichiamo tante persone ogni fine settimana (anche 800, ndr) con il massimo rispetto per i minorenni e con l’intento di far capire che le forze dell’ordine ci sono, che a Treviso tutti possono venire per divertirsi e stare bene, e che se qualcuno intende fare diversamente noi teniamo conto di chi c’è».

Presenza e prevenzione. Per quanto?

«Diciamo che strategia che funziona, e mi pare lo faccia, non si cambia, almeno finché sono qui e finché non ci saranno emergenze tanto maggiori da rivedere i progetti e le priorità».

Secondo lei oggi la società è più violenta?

«Credo di sì, alcuni giovani ne sono espressione diretta, per questo bisogna intervenire sia con la prevenzione operativa, che con la prevenzione sociale. Serve un patto con le famiglie».

Cosa si intende per patto con le famiglie?

«Si intende che scuole e famiglie devono entrare in gioco perché senza di loro noi non possiamo cambiare la situazione. Sono convinta che i giovani debbano essere tutti recuperati e per questo dobbiamo mettere in campo un’azione sinergica e di rete, tra forze dell’ordine, istituzioni, e con le famiglie dei ragazzi in prima linea. Solo in questo modo potremo recuperare davvero i giovani».

Le famiglie e sono ricettive da questo punto vista?

«Talvolta sì, ma spesso incontriamo dei genitori o dei nuclei familiari che si chiudono e arrivano a pensare che non è vero che il figlio si comporti in questo modo. E quindi noi fatichiamo a spiegare la gravità della situazione».

Ci può fare un esempio concreto?

«Quando convochiamo i genitori in questura, talvolta è faticoso far capire che loro figlio si è comportato in quel determinato modo. Se entra in campo fin da subito la famiglia, invece, si sviluppa un’azione di tutela e si attiva una leva in grado di darci una mano».

Un recente controllo di polizia in centro a Treviso
Un recente controllo di polizia in centro a Treviso

Concretamente come possono dare una mano le famiglie?

«Credo che quando un genitore viene convocato in un ufficio di polizia per riprendere il figlio perché ha fatto qualcosa che non va, la settimana dopo debba essere un po’ più attento al comportamento del ragazzo, e debba dargli delle regole».

I genitori dei ragazzi coinvolti negli ultimi fatti di cronaca dicono di essersi sentiti abbandonati dalle istituzioni e dalla polizia e che non è colpa loro. Cosa possiamo rispondere?

«Credo che la responsabilità stia sempre nel mezzo e che sia tutto il sistema sociale a dover andare incontro a questi ragazzi».

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Che tipo di ragazzi avete di fronte?

«Sono ragazzi aggressivi che non hanno più regole, cosa fondamentale per poter vivere nella società e soprattutto per non continuare a delinquere. Questi ragazzi hanno risentito degli effetti dalla pandemia: sono rimasti soli, poco tutelati. Forse ci siamo preoccupati troppo poco di loro, è lo schema sociale che è saltato. Se questi ragazzi non hanno regole e nessuno cerca di inculcargliele, il risultato è che non si ha rispetto per l’autorità, ma neanche per gli altri. Ecco perché dico che ognuno deve fare la propria parte».

Cosa dite ai ragazzi che fermate durante i vostri controlli?

«Cerchiamo di spiegare che queste cose non vanno fatte, che l’assunzione di sostanza stupefacente comporta una degenerazione del percorso di vita, che comporta sanzioni amministrative, prima, ma poi si iniziano le sanzioni penali».

Riguardo alle sostanze stupefacenti, stiamo assistendo a un ritorno delle droghe tra i ragazzi?

«Non si tratta di un ritorno, diciamo che il consumo c’è, è innegabile. Ma dai nostri controlli non emerge un importante uso di droghe pesanti, per lo più di marijuana, hashish e ketamina».

Prima si era detto non fosse necessaria, poi era stata annunciata. Treviso avrà la sua zona rossa?

«È una decisione che sarà valutata in sede di comitato per l’ordine e la sicurezza in Prefettura. Quello che posso dire è che i controlli che stiamo facendo e che abbiamo fatto stanno funzionando. Noi abbiamo fatto uno studio su quali potrebbero essere eventualmente queste zone più sensibili. Se non dovessero esserci novità al riguardo continueremo ad agire come stiamo facendo».

In pratica in cosa consiste l’intensificazione dei controlli?

«Procediamo con l’identificazione massiccia dei giovani che arrivano in città soprattutto nel fine settimana e monitoriamo quelli che creano problemi».

Parlando invece di violenza di genere, la polizia di Stato ha strumenti sufficienti per tutelare le vittime?

«Ha gli strumenti per agire sul piano della prevenzione: prendiamo l’ammonimento del questore, ad esempio, che arriva nella fase precedente la denuncia. È un cartellino giallo, un provvedimento amministrativo che dice “se continui così arriverà una sanzione penale”. L’ammonimento per violenza domestica può essere irrogato da chiunque, con la garanzia dell’anonimato e dunque non necessariamente dalla persona offesa. Per farlo scattare è sufficiente la minaccia verbale. Questo provvedimento viene associato a un percorso rieducativo dei soggetti ammoniti in centri esterni presenti sul territorio. Questo sistema ha dato risultati importanti, la recidiva a livello nazionale si è notevolmente abbassata, passando dal 20% all’8%. Anche a Treviso stiamo attuando questo protocollo, il protocollo Zeus, introdotto da me a Milano nel 2018 (per il quale ha ricevuto l’Ambrogino d’oro, ndr). Uno strumento utile come raccontano i dati dei femminicidi che sono in lieve diminuzione, premesso che anche quota uno è il fallimento del sistema. La strada da seguire è quella della prevenzione, affinché non si arrivi mai al primo schiaffo».

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Sono aumentati gli ammonimenti?

«Nel 2024 quelli per violenza domestica sono aumentati del 20%. La garanzia dell’anonimato è il frutto di una legislazione eccellente risalente al 2013, che permette ad esempio a figure vicine alla donna, come il medico di base, di rivolgersi a noi qualora avesse accertato segni di violenza. Anche se l’ammonito chiedesse l’accesso agli atti il questore non potrà rivelare da chi è partita la segnalazione».

Truffe agli anziani, ha notato un aumento del fenomeno? E i truffatori sono sempre più scaltri?

«Sono più scaltri, ma lo sono anche gli anziani. Tant’è che in generale le truffe di questo tipo sono diminuite e questo si deve alla maggiore consapevolezza delle vittime. Ricevo ogni giorno segnalazioni dagli agenti della squadra mobile di anziani che chiamano per denunciare, ad esempio, il finto carabiniere che ha bussato alla loro porta. Anche qui, la parola vincente è prevenzione».

Le tecniche più diffuse?

«Quella del finto incidente, dei finti agenti e tecnici del gas che abilmente riescono a carpire la fiducia della vittima, spesso dopo averne studiato le abitudini». 

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