«Quella volta che vidi Liz Taylor nuda»
L'album dei ricordi di Piergiorgio Durante, montebellunese, portiere delle star di Hollywood

Le foto firmate di Liz Taylor in «Cleopatra» e Charlton Heston nei panni di Ben Hur In alto a sinistra l’autografo di Fred Astaire
MONTEBELLUNA.
È stato, ai suoi tempi, il più giovane portiere d'albergo italiano. Oggi, a 74 anni, Piergiorgio Durante, titolo di commendatore, è in pensione e vive sul Montello con la moglie. Grand Hotel e Hilton a Roma, poi New York, Los Angeles e tutti i vip della terra. Incontri testimoniati dagli autografi e dalle foto firmate. Cantanti, attori, artisti, nobili sono lì in fila, a raccontare un'epoca, quella della «dolce vita».
Come ha iniziato?
«A 18 anni, come ragazzo di portineria al Grand Hotel a piazza Esedra, collegato all'Excelsior di via Veneto. Ai miei tempi prima di avere 40 anni non si diventava portieri d'albergo perché chi aveva quel posto non lo mollava fino all'ultimo. La mia fortuna è stata che veniva aperta in Italia la catena Hilton e gli americani cercavano gente giovane, così sono diventato portiere all'Hilton a Roma».
Gli anni della dolce vita, chissà quante ne ha viste. E quante celebrità. Ci racconti di Liz Taylor.
«Era il 1956 o il 1957, lei era al Grand Hotel perché stava girando un film a Roma. Aveva chiamato in portineria perché le fossero portati i giornali. Sono salito, ho bussato, lei mi ha aperto e indossava una vestaglia trasparente, la si vedeva come mamma l'aveva fatta. Sono diventato tutto rosso, le ho dato i giornali e sono sceso. Ho detto al portiere come l'avevo vista e lui m'ha detto: fesso, perché non hai chiamato anche me».
Altri aneddoti?
«Che sberla ha preso un giorno Walter Chiari da Ava Gardner. Ero salito a portare la posta, busso, esce di furia Walter Chiari che per poco mi travolge: sulla guancia aveva stampate le cinque dita del ceffone che gli aveva lei».
L'attrice più bella?
«Kim Novak, ma anche Audrey Hepburn. Lei e Gregory Peck stavano girando Vacanze Romane, quando rientravano alla sera io ero lì ad attenderli in guanti bianchi. Era gente semplice, che si fermava a parlare con noi».
Qui c'è una foto con Ranieri di Monaco, Grace Kelly e Carolina e Alberto piccoli. Anche qui ci sono gli autografi, come è riuscito ad averli?
«Erano a Roma in visita a Paolo VI, avvicinarli era impossibile, ma io, da ragazzo di portineria, stavo fuori dell'appartamento a vigilare che non arrivassero intrusi. Erano sempre accompagnati dal loro padre spirituale, padre Tucker. Avevo fatto amicizia con lui perché andavo a servirgli messa ogni mattina a S. Maria degli Angeli e quando gli ho chiesto di farmi avere gli autografi me li ha procurati».
E Totò?
«Che persona generosa. Passava per strada col suo segretario, c'era sempre tanta gente che lo aspettava, si faceva preparare delle mazzette di soldi che metteva in mezzo a pagine di giornale e le dava a quelli che il suo segretario gli indicava».
Ci parli di De Chirico.
«Veniva prima al Grand Hotel, poi all'Hilton, sempre col suo segretario. Sono riuscito ad avvicinarlo nella hall e a chiedergli l'autografo. Me l'ha fatto e mi ha detto: mi raccomando, è una firma importante, può farti diventare ricco».
Lei faceva incetta di autografi famosi, ma non c'era qualcuno che gli chiedeva di fornirglieli?
«Certo, il padrone della Taverna Flavia. Io gli portavo gli autografi e mi guadagnavo qualche pranzo».
Non ha pensato di provare anche lei a fare l'attore?
«In effetti ho fatto qualche provino, mi era stata fatta qualche proposta, ma ormai avevo scelto la mia carriera e ho preferito proseguire con quella».
Com'era via Veneto in quegli anni?
«Quando eravamo liberi ci trovavamo con i colleghi dell'Excelsior, ci sedevamo nel salone a goderci il passaggio di attori e attrici. Immaginarsi con quale emozione, visto che venivo dal paesello. Ma sempre con la paura di essere visti dal direttore perché non potevamo sederci nel salone».
Qui ci sono autografi di mezzo mondo, c'è quello di Gianni Boncompagni con una dedica che dice: «A Giorgio, il re dei portieri». C'è pure quello di John Wayne, di Peter Falk, recentemente scomparso. Li ha avuto all'estero?
«Sì, sono rimasto all'Hilton a Roma fino al 1980, poi, quando aprivano un nuovo Hilton in giro per il mondo mi mandavano due o tre mesi a fare da formatore. Così sono stato in vari alberghi negli Stati Uniti».
Quale personaggio le è rimasto più impresso degli anni americani?
«Peter Falk, il tenente Colombo. Era il periodo in cui ero al Watergate, a cavallo tra il 1983 e il 1984, lui recitava al Kennedy Center e rientrava alla sera, io dovevo attenderlo, mi prendeva sottobraccio e camminavamo avanti e indietro per la hall fino a tarda notte, mi raccontava cosa aveva fatto durante il giorno, le sue preoccupazioni. Era una persona squisita - un po' tirchio a dire il vero -, doveva essere anche tanto solo, aveva bisogno di parlare con me alla sera e io lo attendevo quando rientrava. Poi ricordo il produttore Amedeo Curcio quando ero a Los Angeles, mi portava spesso in giro e un giorno, passando davanti alla famosa scritta di Hollywood, mi ha detto: quella l'ho fatta io».
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