Presidente in stato di fermo Cieffe Forni al liquidatore

La storica azienda di Colle Umberto ha accumulato trenta milioni di debito Quattro anni fa l’auspicato rilancio con una società svizzera, poi la mazzata

COLLE UMBERTO. Trenta milioni di debiti, un ex titolare in stato di fermo, una richiesta di concordato preventivo presentata qualche giorno fa al Tribunale di Treviso senza certezze.

Sulla Cieffe Forni di Colle Umberto si è abbattuta una tempesta che mette a rischio il futuro di un centinaio di lavoratori, i cui stipendi non sono pagati da due mesi. Il caso è molto delicato e anche Unindustria Treviso sta seguendo da vicino l’evolversi della situazione. Una tempesta iniziata, paradossalmente, nel 2014, con l’acquisizione della maggioranza delle quote della Cieffe Forni da parte di Accu Holding, un gruppo svizzero di sicuro affidamento (all’epoca, almeno) che avrebbe dovuto garantire stabilità e investimenti all’azienda.

Ma la crisi è esplosa nel 2016, con il fermo del presidente Marco Marchetti per presunti reati contro il patrimonio. A quel punto, senza il vertice della holding e con la proprietà dell’azienda passata al liquidatore, anche lo stabilimento di Colle Umberto – una realtà produttiva che al massimo della sua espansione aveva 250 dipendenti e un giro d’affari di 56 milioni di euro – è entrato in crisi.

La produzione di forni e impianti per il trattamento termico di componenti meccanici non si è mai interrotta, ma ora il futuro dell’azienda è fortemente a rischio.

«La situazione è preoccupante», conferma Alessio Lovisotto, sindacalista Cisl. La Cieffe è una realtà formata da più di una società: gli svizzeri erano subentrati per la prima volta ai vecchi titolari, i fratelli Arcangelo e Claudio Pessot che fondarono l’azienda nel 1984, nel 2012. Poi, con l’ingresso della Accu Holding di Marchetti, la Cieffe era stata frazionata in una serie di varie società collegate tra loro, e infatti a presentare richiesta di concordato sono, oggi, Cieffe Engineering Srl, Cieffe Holding Srl e Cieffe Forni Industriali Srl.

«Un sistema a “scatole cinesi” che non ha aiutato l’azienda», denuncia Lovisotto, «questa situazione ha quasi portato la società all’insolvenza, si è eroso il capitale sociale e la messa in liquidazione è stato un passaggio quasi obbligatorio. Al momento, il liquidatore – che è di fatto il proprietario dell’azienda dopo che è stato eseguito il fermo di Marchetti – sta proponendo un concordato in bianco: ha sessanta giorni di tempo per presentare un piano di rilancio della società, nel tentativo di ripagare una parte dei debiti che oggi ammontano a quasi trenta milioni di euro».

Ora la patata bollente è passata nelle mani di Tribunale e liquidatore, ma la partita si gioca sulla pelle di un centinaio di lavoratori che vivono con il fiato sospeso.

La loro azienda è da oltre trent’anni un punto di riferimento nel settore del trattamento termico dei materiali, purtroppo a vanificare i loro sforzi potrebbe essere stata una gestione quantomeno rivedibile del patrimonio.

È chiaro che un rilancio sarebbe necessario, ma vista la situazione attuale è difficile prevedere, al momento, chi possa farsi avanti.

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