Poliziotto della Digos indagato per favoreggiamento della latitanza e accesso abusivo a sistemi informatici
Il caso coinvolge la latitanza di Stefano Bagarello, condannato a un anno e sei mesi di reclusione. Il poliziotto è accusato di aver coperto la sua fuga, insieme ad altri membri delle forze dell'ordine
Indagato per aver coperto e favorito la latitanza di un condannato. Al centro della vicenda c’è un agente della polizia di Stato in forza alla Digos della questura di Treviso. Il poliziotto è indagato per i reati di favoreggiamento della latitanza e di accesso abusivo a sistema informatico, nello specifico la banca dati interforze di polizia.
Il caso e le indagini
Una vicenda ancora in fase di indagini preliminari, e sulla quale dalla questura non arriva alcun commento ufficiale proprio per questo motivo. Al centro dell’indagine c’è la latitanza di Stefano Bagarello, sul quale pende un provvedimento di esecuzione pena per un anno e sei mesi di reclusione.
L’agente della questura di Treviso è indagato assieme ad altri appartenenti delle forze dell’ordine, ma anche su questo il riserbo è massimo. A carico del poliziotto della Digos, il pubblico ministero del tribunale di Treviso titolare del fascicolo aveva disposto ad aprile di quest’anno anche il sequestro di due telefoni cellulari. Proprio da questo sequestro è partito un ricorso dell’agente prima al tribunale del Riesame (rigettato), poi alla Cassazione (accolto).
Il magistrato, grazie all’analisi dei telefoni cellulari del poliziotto indagato, mirava a ricostruire i contatti tra i soggetti coinvolti grazie alle conversazioni via messaggi, applicazioni (Whatsapp e Instagram) e posta elettronica, disponendo l’acquisizione anche della galleria fotografica e delle annotazioni private. Sulla genericità delle motivazioni del sequestro e sull’assenza di una tempistica certa in merito all’analisi dei contenuti dei due telefoni è stato incardinato il ricorso che ha portato la Cassazione ad annullare l’ordinanza del Riesame che negava il dissequestro.
Tutto ciò nonostante venga ritenuta dai giudici «ferma la presenza di un quadro indiziario senz’altro costitutivo del fumus commissi delicti e ben argomentato circa la sussistenza dei reati ipotizzati di favoreggiamento e accesso abusivo, quadro indiziario per altro non messo in discussione dalla difesa».
Insomma, gli argomenti in mano al sostituto procuratore per indagare il poliziotto sono corposi, ma il decreto di sequestro dei telefoni è censurabile per i punti prima elencati.
Il nodo giudiziario
Al netto del ricorso sui cellulari si tratta di una vicenda delicata, che crea evidentemente qualche imbarazzo per la gravità dei reati ipotizzati a carico di un agente della polizia di Stato.
Non è ancora chiaro in che modo l’agente trevigiano avrebbe coperto la latitanza del ricercato. Secondo l’articolo 390 del codice penale, chi «aiuta taluno a sottrarsi all’esecuzione della pena è punito con la reclusione da tre mesi a cinque anni se si tratta di condannato per delitto».
L’articolo 615 ter, invece, prevede la reclusione fino a tre anni per «chiunque abusivamente si introduce in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza», pena che va da due a dieci anni «se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri, o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio, o da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato, o con abuso della qualità di operatore del sistema».
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