Omicidio di Fener, la difesa: «Pedro e Junior non hanno ucciso Costa»
Gli avvocati difensori hanno chiesto l’assoluzione degli imputati per non aver commesso il fatto. Sentenza il 15 gennaio
«Non sono stati loro». Non hanno ucciso Antonio Costa. Pedro Livert Dominguez non voleva commettere un omicidio o, comunque, è andato oltre le proprie intenzioni.
Di fronte alla richiesta di condanna a 22 anni di reclusione del pm Alberto Primavera nell’udienza precedente, il 16 dicembre i difensori Marcello Stellin e Paolo Serrangeli (in sostituzione del fiorentino Eraldo Stefani) hanno chiuso le loro arringhe con la richiesta di assoluzione per non aver commesso il fatto, in subordine la derubricazione del reato di omicidio volontario in colposo e in ulteriore subordine in preterintenzionale.
Per i fatti del 6 maggio dell’anno scorso, davanti al Kangur Bar di Fener, lo stesso Primavera aveva chiesto l’assoluzione per l’imputato in concorso Junior Cedano Sanchez e gli avvocati Giorgio Gasperin e Monica Azzalini hanno rafforzato questa tesi, argomentando fino ad arrivare all’assoluzione con formula piena per non aver commesso il fatto, in subordine perché il fatto non costituisce reato e in ulteriore subordine il minimo della pena, esclusa l’aggravante dei futili motivi, con la concessione delle attenuanti generiche. Repliche e sentenza nella Corte d’Assise del prossimo 15 gennaio.
I giudici togati sono il presidente Federico Montalto e Paolo Velo, oltre ai seipopolari. Stellin e Serangeli hanno discusso circa tre ore.
La toga trevigiana se n’è ritagliate due, partendo dal comandamento secondo cui bisogna avere una certezza incrollabile per condannare, tanto più che si tratta di un processo indiziario: «Il compito della pubblica accusa sarebbe anche trovare prove a favore dell’imputato, in realtà Primavera ha scelto le ciliegie più belle, secondo il principio del “cherry picking”».
Quella sera Costa ha dato fastidio a tutti, tra l’altro palpeggiando una ragazza minorenne: «Ha tirato fuori due volte un coltello e, se avesse avuto problemi l’avrebbe usato».
Il 53enne di origine trevigiana – ha sottolineato la difesa – soffriva di un disturbo neuro-cognitivo, era ubriaco e sotto l’effetto della cocaina. Si trovava alla festa con l’intenzione di spacciarne, un reato per il quale era stato condannato in via definitiva nel 1999. Nel 2016, ci sono due guide sotto l’effetto di sostanza stupefacente e nel 2023 un’altra condanna per maltrattamenti alla moglie con l’aggravante delle presenza del figlio minore.
«Mentre Dominguez è un tipo tranquillo, che non può essersi trasformato in un giustiziere. Non avrebbe nemmeno voluto partecipare a quella festa di compleanno, dopo una settimana di lavoro a fare disgaggi, ma alla fine si era lasciato convincere dai familiari e ci aveva portato anche dei figli».
La colluttazione con Costa – sempre secondo Stellin – è documentata da un video girato dalla telecamera della videosorveglianza: Dominguez si stacca dalla vittima alle 23.27.52 e Victoriano Carvajal de los Santos chiama il 118 alle 23.33.49.
Cinque minuti dopo, il che significa che la coltellata non è stata sferrata, poco prima che i due scompaiano dall’inquadratura.
A proposito, l’arma del delitto non è quella che lo stesso Dominguez ha fatto ritrovare ai carabinieri il giorno dopo, quando è stato prelevato da casa alle 10.30 ed è rimasto a disposizione una decina di ore, prima come persona informata sui fatti, poi come fermato.
Agli investigatori ha detto subito “non sono stato io”, in un secondo momento “ribadisco che l’ho solo spinto, dopo averlo disarmato”.
Costa è morto per un tamponamento cardiaco, dovuto a un fendente secco, che ha sfondato lo sterno e trafitto il cuore, provocando un versamento di sangue.
Sicuramente «Dominguez lo spinge, ma non è lui ad accoltellarlo» ha assicurato Serrangeli e, grazie a questa ricostruzione alternativa, andrebbe assolto per non aver commesso il fatto. In ogni caso, non è omicidio volontario».
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