Delitto del Piave, si sgonfia la pista della banda: «Le minacce ad Anica? Nel 2018»

Processo a Battaggia: in aula la testimonianza dell’ex cognata. L’avvocato Crea: «Teste reticente»

Marco Filippi
La cuoca rumena Anica Panfile
La cuoca rumena Anica Panfile

«È vero. So che Anica era stata minacciata da un gruppo di albanesi che le avevano messo sotto la porta un foglio con il disegno di una pistola. Io l’avevo consigliata di andarlo a denunciare alle forze dell’ordine. Così fece e mi risulta che da allora non aveva avuto più problemi. Ma quel fatto risale ancora al 2018 e non a due giorni prima della scomparsa della mia ex cognata».

È stata “Nana” Longu, sorella del primo marito rumeno di Anica Panfile, la teste clou dell’udienza di lunedì 24 febbraio, la quarta, a carico di Franco Battaggia, 77 anni, l’imprenditore del settore ittico di Arcade accusato dell’omicidio della 31enne rumena. Datando, però, 5 anni prima dell’omicidio l’episodio delle minacce del fantomatico gruppo di albanesi che ce l’aveva con la donna assassinata, a meno di colpi di scena futuri, la testimonianza dell’ex cognata ha di fatto sgonfiato la pista della banda degli albanesi, come possibile pista alternativa a Battaggia.

La pista degli albanesi ha preso corpo all’udienza del 20 gennaio scorso, quando in aula, davanti ai giudici della Corte d’Assise, è comparso come testimone Luigino De Biasi, il compagno di Anica, chiamato a commentare i messaggi intercorsi tra lui e “Nana”, all’indomani della scomparsa di Anica, avvenuta nel pomeriggio 18 maggio 2023. “... ma lei - scrive Nana a Luigino - ha litigato con gli albanesi...”. E Luigino risponde: “Cavolo, più passa il tempo e più tremo...”. “Sai che con questi - scrive Nana a Luigino - non si scherza. Quando vai a fare denuncia di scomparsa digli che ha litigato con gli albanesi”. E Luigino a Nana: “... ma con gli albanesi lei ha litigato a voce, non per telefono”.

Per albanesi, “Nana” Longu intendeva - ha spiegato in aula - i vicini di casa di Anica che vivevano nell’appartamento del piano di sotto. «Inizialmente sapevo che era una famiglia straniera - ha detto “Nana” Longu - solo dopo ho saputo che erano albanesi. Non so se erano due giorni o due settimane prima ma so che quella famiglia ce l’aveva con Anica perché dicevano che i figli facevano rumore e lasciavano le ditate sul vetro del portone d’ingresso del condominio. So che il 30 aprile 2023 (18 giorni prima della scomparsa della cuoca rumena, ndr) erano andati a questionare a casa di Anica».

In aula, sono stati sentiti altri testimoni. Da una carabiniera, in servizio alla stazione di Spresiano, che intervenne in riva al Piave, il 21 maggio 2023, tre giorni dopo la sparizione, quando fu ripescato il cadavere di Anica, all’attuale comandante del nucleo investigativo dell’Arma, il maggiore Giovanni Truglio, che nel settembre 2023 prese in mano le redini delle indagini del delitto. In aula anche l’ex moglie di Battaggia, un’equadoregna di 63 anni, che, nonostante la separazione, ha continuato a lavorare alla pescheria “El Tiburòn” di Spresiano. «Nei giorni della sparizione di Anica - ha detto - non ricordo di aver visto segni particolari nelle braccia o nel viso di Franco. So che Anica aveva problemi economici e il mio ex marito l’aiutava, anche regalandole del pesce per i figli».

La testimonianza di “Nana” Lungu è stata definita dall’avvocato Fabio Crea, difensore dell’imputato, “contraddittoria” e “reticente”. «Certamente c’è una pista alternativa - dice l’avvocato Crea - perché Battaggia non ha commesso il delitto di Anica Panfile. Ma il problema non è dimostrare che ci sia o meno una pista alternativa, il problema è della procura che deve dimostrare in aula che ad uccidere Anica è stato Battaggia. La ricostruzione della pubblica accusa è incompatibile con la presunta colpevolezza di Battaggia».

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