Uccise la moglie inferma, processo lampo per De Zen
Il delitto di Maser, accordo tra Procura e difese per produrre gli atti d’indagine alla Corte d’assise. Saranno sentiti l’omicida e la figlia il prossimo 20 maggio. Sentenza il 17 giugno
Sarà un processo lampo quello a carico di Sergio De Zen, il pensionato di Maser che, il 24 settembre del 2023, accoltellò la moglie inferma di 77 anni, Manuela Bittante, morta 24 ore più tardi all’ospedale Ca’ Foncello di Treviso.
Mercoledì mattina si è aperto formalmente il processo per omicidio volontario a carico di De Zen, che non ha potuto accedere al rito abbreviato perché la procura gli contesta l’aggravante da ergastolo del vincolo di parentela con la vittima.
La pubblica accusa, rappresentata in aula dal pubblico ministero Gabriella Cama, ha raggiunto un accordo con le parti – il difensore di De Zen, l’avvocato Sabrina Dei Rossi, e il legale di parte civile Paolo Pastre che assiste la figlia della coppia, Aurora De Zen – ed ha prodotto gli atti d’indagine alla Corte d’Assise, presieduta dal giudice Laura Contini, accelerando di fatto il dibattimento.
Non saranno sentiti i testimoni, ad eccezione dell’imputato e della figlia. Per questo motivo sono state fissate soltanto due udienze. La prima sarà il 20 maggio prossimo, quando verranno sentiti De Zen e la figlia Aurora. La seconda il 17 giugno per la discussione e la sentenza.
Quel giorno ad armare la mano di De Zen, secondo quanto lui stesso aveva confessato nell’immediatezza dell’arresto, fu la disperazione per le condizioni della moglie. «L’ho fatto per pietà, mi sono sentito impotente», aveva detto De Zen ai carabinieri dai quali era andato a denunciarsi subito dopo aver aggredito la moglie.
La sua vita era radicalmente cambiata un giorno di metà luglio del 2023 quando Manuela Bittante fu colpita da un ictus mentre si trovava in casa. La fortuna volle che l’allarme al 118 fosse stato subito lanciato.
Per due mesi la donna era rimasta ricoverata all’ospedale, seguita dai sanitari. Tutto era filato via liscio. Poi, a metà settembre, la decisione di dimetterla e di mandarla a casa. Un fulmine a ciel sereno, anche perché nessuno dei familiari era preparato per un’assistenza che avrebbe richiesto attenzione giorno e notte.
«All’ospedale ti salvano la vita ma poi guarda in che stato ti lasciano», aveva sbottato l’ex operaio metalmeccanico in pensione. «Quella non sarebbe stata vita – aveva detto – ma soltanto un prolungamento della sofferenza. Manuela non lo meritava».
De Zen era entrato nel carcere di Santa Bona la sera stessa dell’aggressione, con l’accusa di tentato omicidio. Accusa che, all’indomani dell’accoltellamento in casa, cambiò in omicidio volontario dopo che la moglie era spirata in un letto del reparto di Rianimazione dell’ospedale Ca’ Foncello di Treviso.
Da allora De Zen è rinchiuso in carcere.
«Non voglio uscire da qui: è una pena che merito», continua a ripetere al suo legale. La vittima era stata uccisa con un’unica coltellata al costato che le aveva reciso alcuni vasi sanguigni, morendo dissanguata. Questo secondo l’esito dell’autopsia, effettuata nei giorni successivi all’omicidio, dal medico legale trevigiano Alberto Furlanetto. Per la figlia Aurora, che si è costituita parte civile con l’avvocato Paolo Pastre, quello del padre non fu un «atto di pietà» ma «di egoismo».
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