Mamma sevizia la sua bimba: 4 anni

«La virtù della donna è non avere talento». E, ancora, «la donna porta danno per tre generazioni».
Sono alcuni dei proverbi cinesi che il pubblico ministero Valeria Sanzari ha citato in tribunale a Treviso aprendo la requisitoria con la quale ha chiesto la condanna di una mamma originaria della Cina e accusata di aver maltrattato dal 2004 al 2009 la figlia di appena 10 anni.
Quattro anni la pena decisa dal giudice Angelo Mascolo nei confronti della donna, operaia quarantasettenne residente in un Comune del circondario (omettiamo ulteriori elementi per evitarne l’identificazione e tutelare in questo modo la bambina).
La differenza culturale tra Occidente e Oriente è stata al centro del processo chiusosi ieri mattina con la severa condanna dell’imputata.
Da una parte l’accusa ha sottolineato che, nella cultura cinese, le donne sono considerate come un peso se non una disgrazia e questo, ha precisato il pm, «nonostante negli anni Cinquanta sia stato avviato un processo di apertura».
Un contesto culturale, questo, nel quale sarebbero maturate le violenze ai danni della ragazzina che veniva picchiata brutalmente e punta in tutto il corpo con un ago, finché non sanguinava. Ogni occasione era buona per scatenare le aggressioni fisiche: quando la madre riteneva che non avesse fatto bene i compiti o le faccende domestiche assegnate.
«Ho tanta paura di mia mamma, quando la vedo comincia a battermi forte il cuore. Non ho il coraggio di parlarle», ha spiegato la bimba sentita in sede di incidente probatorio.
E ancora: «La mamma lavora ed è nervosa quando il titolare la sgrida». A pagarne le conseguenze era appunto la bambina.
«Una vera tortura», ha detto il pm Sanzari ricostruendo la vicenda fin dall’inizio: a presentare la denuncia furono gli insegnanti che si accorsero del disagio dell’alunna che si presentava a scuola con i lividi sul corpo e con gli abiti sanguinanti.
I professori segnalarono la situazione alle forze dell’ordine che avviarono gli accertamenti; la Procura ha infine contestato il reato di maltrattamenti in famiglia portando la donna a processo.
E al contesto culturale cinese ha fatto riferimento anche la difesa, naturalmente con obiettivi opposti rispetto all’accusa.
I legali della madre hanno spiegato che quelle che in Italia sono solo brutali violenze, in Cina rientrano invece nei metodi educativi usati in ambito familiare.
«In realtà - hanno ricostruito gli avvocati della donna - non c’era in questo caso l’elemento psicologico». In sostanza la madre non avrebbe agito per fare del male alla minore, ma obbedendo di fatto all’educazione a sua volta ricevuta.
I lividi sul corpo riscontrati dai medici che visitarono la piccola hanno dimostrato la brutalità delle violenze subìte. Un elemento che ha probabilmente pesato sull’entità della severa pena decisa dal giudice Angelo Mascolo: due anni in più rispetto a quelli chiesti dalla difesa.
La difesa ha espresso ieri l’intenzione di ricorrere in appello.
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