La crociata di Diego, paron razzista
Applausi per il film di Patierno: «Ma Treviso e il Veneto non sono la Lega»

VENEZIA. Ci si aspettava la rivolta, con gli striscioni in passerella e i «buuu» in Sala Grande; è finita con dieci minuti di applausi, standing ovation, risate per tutta la durata della proiezione e almeno dieci applausi a scena aperta. Può essere che durante la notte, al posto degli extracomunitari, siano spariti tutti i veneti; oppure può essere che ai veneti il film delle polemiche - accolto per la verità in modo tiepido dalla critica - sia semplicemente piaciuto. E, delle due, la seconda è più probabile. Il giorno tanto atteso, infine, è arrivato e alla Mostra del Cinema in un Lido che cucina a fuoco lento sotto un sole da ferragosto, va in sala Cose dell'altro mondo. Diego Abatantuono fa passerella alle 11, si presenta con un piccolo ventilatore a batterie e nessun timore: «Io i veneti li conosco bene, e so che sono persone estremamente accoglienti, gente che mi è sempre piaciuta, ospitale; grandi lavoratori». A queste dichiarazioni solo qualche mese fa aggiungeva "è un peccato avere tante qualità e non volerle spartire con gli altri": che stia smorzando? «Macché smorzare, io parlo il dialetto veneto, qui ho i ricordi più belli della mia vita perché sono quelli legati alla mia adolescenza. Avevo 15 anni e stavo con i Gatti di Vicolo Miracoli, io a Milano e loro a Verona. Loro volevano sempre venire da me, per il fascino della grande città, ma ero io a raggiungerli: mi piaceva troppo stare a Verona, una città così romantica. E' qui che mi sono innamorato per la prima volta, che ho sentito battere il cuore, quando ti viene tutto caldo dentro. Questo è il Veneto per me». Treviso non è Verona, ma neanche su questo - con il piccolo ventilatore sempre a portata di mano - Abatantuono lascia un pertugio alla polemica: «Ci hanno detto no al set tanto Treviso che Bassano, con la scusa che c'era da portare un toro libero in piazza. Ma alla fine abbiamo girato tanto da una parte che dall'altra». E senza striscioni, cori e pomodori: «Per la verità uno striscione contro di me a Treviso lo hanno messo». Leghisti? «No, animalisti. Avevo fatto una pubblicità al prosciutto cotto». Insomma, il suo Golfetto industriale meschino e razzista rappresenta il trevigiano oppure no? «Io sono un interprete, non lo sceneggiatore; comunque è meschino, sì, e non è che tratti la figlia meglio di come tratta gli stranieri: in tutto il film le parla una volta sola. Però è anche un personaggio capace di umanità, migliore di quelli che si espongono meno di lui». E però la polemica ci ha tenuto compagnia per tutta l'estate: «Ma era una polemica sulla fiducia. Come fai a vedere un trailer e a giudicare un film? Questo è marketing, il cinema è un'altra cosa. Ci sono film comici che fanno riempire le sale dopo promozioni con l'unica sequenza in cui si ride». Per via di quel trailer ci sono state interrogazioni parlamentari, inviti al boicottaggio: «Non la pensiamo tutti allo stesso modo, e siamo liberi di decidere: se mandano un trailer di un qualsiasi film dove si vede la morte di un figlio, io a vederlo non andrò mai». La vita, Abatantuono ne è sicuro, «è una percentuale. Sui commenti al trailer, e siamo a 40 mila, se uno diceva male del film in nove gli rispondevano di andarsi a nascondere». Però a questi veneti il personaggio di Abatantuono fa dire cose spaventose: «Chi, io? Ma sono cose che hanno detto loro, magari non gli piace risentirle in un film». Sarebbe felice se la produzione organizzasse una proiezione con regista e attori in sala proprio a Treviso («ma sono cose che non decido io») e quanto a Gentilini e Gobbo «spero che vadano a vedere il film e si facciano due risate». D'altra parte, oltre ai batticuori di Diego ragazzino, di sangue veneto che scorre in questo film ce n'è anche dove non ti aspetti: la mamma del regista Francesco Patierno è trevigiana, una zia vive a Refrontolo, un'altra a Padova, un altro parente a Rovigo: «Ci vengo spesso, e quante estati mi sono fatto con loro in collina». Di più: il padre conosceva Gentilini, la mamma lo stima e lui, per come ne sente parlare, lo definisce: «Un uomo simpatico, un amministratore che piace alla gente, un politico onesto». «So benissimo che a Treviso gli stranieri sono integrati». Il regista sa anche che le polemiche non ce le siamo sognate: «Ma se nel film c'è una tirata contro il cous cous, e poi io accendo Radio 24 e sento Bitonci che dopo aver vietato il kebab ammette di non averlo mai assaggiato "perché quelle cose non le mangio", come fanno a dirmi che attacco i leghisti? E' lui che parla così, mica io». Cose dell'altro mondo, Patierno lo ripete per tutto il giorno, è «un film girato in Veneto, non un film sui veneti»; e le polemiche sono «dei leghisti, che il Veneto non lo rappresentano nemmeno più, vadano a vedere i numeri, le percentuali». A Giorgio Panto giura di non essersi minimamente ispirato, nemmeno per il lupetto dell'assistente di Golfetto nel film: «Io mi sono ispirato all'ex assessore lombardo Piergianni Prosperini. Basta andare su youtube, c'è tutto quello che dichiarava in tv. Non mi sono ispirato per niente a questo, come si chiama? Panto? No, anche perché - chiedo scusa - ma non so chi sia». Cose dell'altro mondo è stato accompagnato alla Mostra, oltre che da Patierno e Abatantuono, anche dagli altri interpreti Valerio Mastandrea e Valentina Lodovini, e da Simone Cristicchi autore della colonna sonora. Una piccola parte è anche della trevigiana Laura Ekrikian. In sala alla prima, i fratelli Diego e Andrea Della Valle. Prodotto da Rodeo Drive con Medusa film, da ieri è nelle sale.
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