La battaglia di una ventenne trevigiana: «Mio padre assente, cambio cognome»
TREVISO. Nel momento in cui la Corte Costituzionale con una sentenza storica allineava l’Italia agli altri paesi europei permettendo ai figli di avere i cognomi di entrambi i genitori, lei, Giulia (il nome è di fantasia, ndr), una ventenne trevigiana, studentessa universitaria di giurisprudenza, concludeva la sua battaglia personale, ottenendo dalla Prefettura di Treviso il via libera per liberarsi del cognome del padre e avere solo quello della madre.
«Quel cognome non mi apparteneva», racconta Giulia con la serenità di una giovane che ha finalmente raggiunto il traguardo agognato dopo un lungo percorso di sofferenza, vincendo una battaglia che lei definisce “di principio”.
Una battaglia di principio
«Sia chiaro, non c’era un motivo legato a condanne. Semplicemente non mi identificavo in quel cognome. I miei abitavano dai nonni paterni, in una grande casa a due piani, in un paese della provincia di Treviso. Quando si separarono io avevo 3 anni e mio padre andò a vivere al piano di sotto coi nonni mentre io e mia mamma rimanemmo al piano superiore».
«Nonostante abitassimo sotto lo stesso tetto e quindi non fossimo a distanze siderali era come se lo fosse. Ma dopo la separazione tutto cambiò. Mia madre all’epoca non lavorava e a un certo punto ci ritrovammo con la possibilità di usare l’acqua calda per una sola ora al giorno. Fu un crescendo di dispetti e meschine vendette e chi ci andò di mezzo fui io che avevo solo pochi anni. Fin da piccola ho intuito che a mio padre non interessava nulla di me. Sembrava quasi che l’odio provato verso mio madre si riflettesse nel disinteresse verso di me».
L’affetto della mamma
I ricordi dell’infanzia, per Giulia, non sono dei più felici. «Ho ancora impresse - ricorda - le grida delle liti tra mio padre e mia madre con io che ero costretta a tapparmi le orecchie per non sentirli urlare. Posso, però, tranquillamente dire che l’unico genitore che è sempre stato al mio fianco e mi ha protetto è stata mia madre. Fu costretta a comprare una stufa a pellet per poterci scaldare d’inverno. Finalmente, quando mia madre divenne economicamente autonoma, andammo a vivere altrove».
Ma non andò meglio perché nell’ambito degli accordi sul divorzio doveva andare a vivere con il padre nei fine settimana. «Il punto è che da lui non ricevevo nessun affetto e mi sentivo quasi un peso. Così a 12 anni iniziai a mandargli messaggi del tipo: “Guarda che non voglio venire più da te” perché non ho mai sentito da lui affetto o interesse. Neanche quando ho compiuto 18 anni. Da lui mi aspettavo un messaggio. Un semplice “buon compleanno”. Invece silenzio».
Giulia spiega che nella decisione di cambiare cognome non è stata influenzata dalla madre come spesso capita in casi di separazioni complicate. «Mia madre - continua - non c’entra nulla. È una decisione che ho maturato nel corso degli anni, dopo un lungo percorso di sofferenza interiore. Amo mia madre perché mi ha protetto e cresciuto, mandandomi a scuola e permettendomi di istruirmi nei migliori istituti. Mi ha sempre dato la precedenza come dovrebbe fare un genitore. Se studio giurisprudenza è perché fin da piccola le dicevo: “Io ti difenderò”».
Un messaggio senza risposta
La battaglia per cambiare cognome, Giulia l’ha combattuta da sola. «Ho scaricato le istruzioni dal sito della Prefettura. Poi ho contattato la Prefettura facendo presente la mia volontà. Ma c’era un unico scoglio: era necessaria l’autorizzazione di mio padre. Allora gli ho mandato un messaggio: “Ciao avrei bisogno di una tua firma con la quale mi autorizzi al cambio del cognome con allegato un tuo documento d’identità. Mi potresti fare questo favore? Ma al messaggio non è seguita nessuna risposta. Trascorso un mese l’ho fatto presente alla Prefettura che così ha pubblicato l’avviso di cambiamento del cognome con relativa pubblicazione affissa nei comuni di Treviso e in quello dove risiede mio padre».
Adesso che è riuscita a cambiare cognome, Giulia si dice in pace con sé stessa. «Ho raggiunto quello che sentivo dentro». E se le si chiede perché abbia deciso di rendere pubblica la sua storia, lei risponde così: «Per tanti motivi: perché nessun legale, cui mi sono rivolta, mi ha aiutato in questa mia battaglia, nonostante a qualcuno avessi chiesto aiuto, anche piangendo. Perché ora porto un cognome che mi identifica e poi per dare una speranza a chi si potrebbe trovare in situazioni come la mia».
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