Infezione in pediatria a Oderzo: era lo stafilococco aureo

ODERZO. Torneranno a casa nei prossimi giorni le ultime puerpere contagiate coi loro bambini dallo stafilococco aureo all’ospedale di Oderzo. L’infezione batterica che si è diffusa nell’ultimo mese e mezzo tra il reparto di pediatria e quello di ostetricia è ormai sotto controllo secondo quanto chiarito dal direttore generale dell’Usl 9 di Treviso Francesco Benazzi. Tra l’altro l’Usl si è dotata da parecchi anni di un comitato per le infezioni ospedaliere (Cio) che è entrato subito in azione applicando i protocolli del caso.
Nell’ultimo mese e mezzo sono stati una quindicina, tra puerpere e neonati, i soggetti contagiati dall’infezione batterica che si è diffusa nei due reparti. Mentre per i bambini i disagi sono stati tenuti sotto controllo con l’uso di antibiotici, le conseguenze per le mamme sono state più impegnative. Nelle puerpere infatti lo stafilococco aureo ha causato dolorose mastiti ai seni, curate con antibiotici e, in alcuni casi, sono state necessarie anche delle incisioni. Appena sono stati riscontrati i primi casi, è stato messo in azione il protocollo di contrasto alla diffusione dell’infezione batterica anche se non è stata disposta la chiusura del reparto.
Lo stafilococco aureo si diffonde infatti solo per contatto e non per via aerea: si è proceduto quindi all’isolamento dei pazienti contagiati e alla disinfezione completa con apposito liquido disinfettante di pazienti, materiali e strumenti, oltre alla sanificazione completa delle stanze. «Bisogna sempre lavarsi con cura le mani», ha detto Benazzi, «Lo stafilococco aureo popola le mani e le mucose. In pazienti deboli come le puerpere e i bambini può facilmente attecchire una volta che entri in contatto con questi soggetti. I primi casi risalgono a oltre un mese fa: i primi contagi sono stati molto rapidi e questo rendere molto difficile capire da chi sia partito». Il Cio dell’Usl 9 è un comitato permanente. All’Usl di Treviso, nel 2014, il numero di infezioni in corsia si attestava intorno al 6 per cento, pari a circa 3mila pazienti colpiti su un totale di oltre 50mila ricoveri l’anno.
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