«Il punto debole del Prosecco? Dimostrare la sua unicità»

Giorgio Andrian, esperto di candidature, indica la nuova sfida «Non basta la qualità, serve qualcosa che si trovi solo qui»

TREVISO

«Certo, l’anno prossimo, o quando sarà, si può vincere. Ma il dossier va rigenerato dal profondo, non solo corretto. E lo si dovrà fare insieme e non contro l’Icomos». Parola di Giorgio Andrian. Il geografo padovano ha lavorato sei anni per l'Unesco – presso il Venice Office e il World Heritage Centre – e si occupa di candidature nei vari ambiti dell’istituzione (Patrimonio Mondiale, Patrimonio Culturale Intangibile, Creative Cities), in diversi paesi europei. Ha collaborato anche alla proposta di riconoscimento Unesco del ciclo pittorico dei maestri del Trecento a Padova - Giotto, Mantegna, Giusto De' Menabuoi. In Bahrein il World Heritage Committee ha fatto mancare due voti alle Colline del prosecco (12 sì, anziché 14, per il riconoscimento universale).

Il presidente Luca Zaia si dice convinto che il prossimo anno, a Baku, la candidatura finalmente passerà.

«Me lo auguro. Potrà accadere, però, solo ad alcune condizioni: che il dossier sia rivisto nelle motivazioni dell’eccezionalità e dell’unicità delle Colline del Prosecco come patrimonio culturale; che questa riscrittura avvenga in collaborazione con gli esperti dell’Icomos e non contro di loro. E, soprattutto, che il governo scelga di sostenere questa proposta e non altre».

E qui potrebbe cascarci l’asino?

«Se ancora quest’anno era possibile presentare due candidature, dal prossimo si potrà farlo solo con una. E il Prosecco, ad oggi, ha già due competitors: la Sila e le Alpi Mediterranee (un progetto condiviso con la Francia)».

Quanto tempo ha il Veneto per ripresentare le Colline del Prosecco?

«Tre anni. Quindi io consiglierei ai promotori, alle luce delle osservazioni che ho sentito fare in due ore di confronto in Bahrein, che approfondiscano, in stretta collaborazione con gli esperti dell’Icomos, le ragioni per cui le colline delle nostre bollicine sono da considerarsi un patrimonio culturale unico ed eccezionale. Ciò che non è stato fatto, a sentire il dibattito di domenica».

Come si fa a dimostrare che manca proprio il tassello delle bollicine per completare il mosaico culturale della viticoltura?

«Perfezionando l’analisi comparata con i 12 paesaggi coltivati a vite che nel mondo l’Unesco ha già riconosciuto. I nostri esperti devono certificare che manca qualcosa e che questo qualcosa è dato solo dal Prosecco. Inoltre ci dovrà essere una comparazione con altri vitigni che potrebbero, un giorno, essere nostri competitors. All’allora ministro dell’Agricoltura, Zaia, prospettai già che la candidatura sarebbe stata un percorso complesso, difficile, intriso di rischi».

Tra questi rischi c’è anche la possibilità che l’anno prossimo, a Baku, si ripresentino gli stessi membri che ci hanno votato contro?

«La Cina, che fa tendenza, è in scadenza, ma potrebbe ricevere un secondo mandato. Così altri membri. Noi dovremmo convincere proprio i Paesi che fanno opinione. Pure la Spagna».

E il Veneto dovrà convincere di nuovo il governo.

«Appunto. Mi sa che Sila e Alpi Mediterranee vogliono andare avanti. Il governo, inoltre, ha il delicato compito di fare diplomazia. Che non si fa sbattendo i pugni o, comunque, attaccando. Il governo deve sentire la responsabilità di avere il maggior numero di siti, riconosciuti e tutelati, e quindi di essere garante della massima serietà delle candidature. Icomos, nel caso delle Colline del Prosecco, ha contestato i “fondamentali”. Che, appunto, non ha trovato motivati».

L’uso delle sostanze chimiche nei vigneti può aver giocato la sua parte?

«Sì, ma non in modo determinante. Se un ispettore si sente raccontare dagli abitanti di un insediamento che soffrono per le irrorazioni, si pone evidentemente qualche dubbio di trovarsi in un contesto unico ed eccezionale, dove l’uomo e l’ambiente stanno in armonia: 10 sono i criteri internazionali che lo definiscono e ne basta uno di convincente per passare».

Per il governo non è interessato solo il Ministero delle politiche agricole…

«È anche quello dei Beni culturali, in cui hanno la loro voce, in modo pesante, le Soprintendenze. Se ne tenga conto nella riscrittura dei fondamentali». —



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