Da Sergio Marchionne a Miuccia Prada, le persone non ordinarie di Ebhardt

Dopo il lavori sul manager italo-canadese e su Leonardo Del Vecchio, il giornalista presenterà venerdì 14 marzo al Festival Treviso Città Impresa il suo libro sulla stilista venerdì a Palazzo Giacomelli. Ecco come iscriversi

Roberta Paolini
La sfilata di Prada il 27 febbraio alla Milano Fashion Week
La sfilata di Prada il 27 febbraio alla Milano Fashion Week

Se Sergio Marchionne ha trasformato Fiat in una multinazionale e Leonardo Del Vecchio ha costruito un impero degli occhiali, Miuccia Prada ha rivoluzionato il concetto stesso di lusso. Tommaso Ebhardt, nel suo ultimo libro "Prada. Una storia di famiglia" (Sperling & Kupfer), racconta con lo stile del cronista la storia di una donna che ha cambiato la moda, ma anche il modo in cui il mondo percepisce il bello.

Miuccia Prada non nasce con la matita in mano. Da giovane, la moda la snobba: è una militante comunista, con un dottorato in scienze politiche e un passato nel teatro. Poi, nei primi anni Settanta, si trova quasi per caso alla guida dell’azienda di famiglia, un piccolo negozio di lusso fondato dal nonno Mario Prada nel 1913. Ma Prada non vuole seguire le regole del gioco. Anziché riproporre la tradizione della pelletteria di lusso, decide di sovvertire il concetto stesso di eleganza: il suo primo grande successo è una borsa in nylon nera e minimale, un materiale più associato alle tute da lavoro che agli accessori di alta gamma. All’epoca è uno scandalo, oggi è un pezzo di culto.

«Miuccia Prada ha sempre avuto un senso di irrequietezza rispetto all’ambiente in cui è cresciuta», racconta Ebhardt. «Crescere nella borghesia milanese degli anni Sessanta significava trovarsi in un contesto dove era possibile esprimersi, ma anche dover rispettare codici precisi. Lei ha scelto di cambiare le regole dall'interno, rompendo gli schemi della moda».

La Prada che conosciamo oggi nasce da una combinazione unica: la creatività di Miuccia e la visione industriale del marito Patrizio Bertelli.

«Prada è il frutto dell’incontro tra due menti complementari: da un lato l’estro artistico di Miuccia, dall’altro la strategia industriale di Bertelli», spiega l'autore.

La sfilata di Milano del 1996, è una dichiarazione di intenti: il lusso non deve per forza essere appariscente, può essere sottile, enigmatico, raffinato fino all’estremo. «Quando introduce l'ugly chic nel 1996, in Italia non viene capita. Stravolge colori e tagli, viene quasi ridicolizzata, ma trent’anni dopo il suo stile è dominante. Prada è la donna che è, Miu Miu è la donna che vorrebbe essere senza costrizioni» dice Ebhardt. L’universo ambivalente di Miuccia.

Negli anni 2000 Prada diventa una potenza globale, arrivando a quotarsi alla borsa di Hong Kong nel 2011. Ma la crescita non è lineare. Si inventa come conglomerato del lusso ante litteram con Jil Sander Church, Helmut Lang, accumulando debiti al punto da rischiare di perdere tutto.

Oggi il gruppo è tornato su quei passi come dimostrano le trattative in corso per Versace.

«In Italia non esiste un gruppo del lusso capace di competere con i colossi francesi, e Prada cerca di colmare questo divario», osserva Ebhardt, che venerdì 14 inconterà il pubblico al Festival (a Palazzo Giacomelli, alle 18). Oggi, Prada è sinonimo di avanguardia. C’è una parola che la definisce “Pradaness”, l’unicità di Prada, la donna che ha inventato gli anni Novanta e costruito un nuovo universo di stile.

Ebhardt non scrive biografie, ma storie di persone. Per raccontare Prada, ha ricostruito documenti d’archivio, parlato con fonti esclusive e perfino scoperto un baule del 1919 che ha riscritto la storia ufficiale dell’azienda. L’accesso diretto a Miuccia Prada non è stato immediato. Ci parlerà solo quando il libro è praticamente finito. «Mi sono ritrovato spesso a raccontare le storie di persone di successo, di individui che hanno saputo emergere anche grazie al contesto in cui si trovavano. Entrare in empatia con loro, soprattutto quando si tratta di figure fuori dall’ordinario, è sempre stato un elemento chiave. Dopotutto, siamo tutti un po’ fuori posto». —

 

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