I conti della Diocesi di Treviso: liquidità +20%, raddoppia la quota dell’otto per mille
In vent’anni le risorse per i poveri sono passate da 186 mila euro a 1,1 milioni. Spiccano gli sforzi per sostenere le parrocchie indebitate. I dati del bilancio 2023
Sestuplicati i fondi destinati alla Carità, ridotti i debiti, incrementate le erogazioni alle parrocchie dall’8 per mille, da un terzo a due terzi degli introiti derivati dalla scelte nel compilare i 730. E liquidità cresciuta del 20%, a quota 2, 4 milioni.
Il bilancio 2023 della Diocesi di Treviso, appena pubblicato sul settimanale “La vita del popolo”, se conferma da un lato la razionale gestione finanziaria, rivela dall’altro in tralice il disagio sociale che vede il vescovo Michele Tomasi e tutta la Chiesa trevigiana, fedele alla sua impronta pauperista e di estrema attenzione agli ultimi, restare sempre in primissima linea.
Anche sul piano finanziario, oltre che con le sue risorse umane. In un macroquadro pressoché stabile rispetto al 2022 – utile di mille euro a quota 50 milioni, di cui 45 di patrimonio immobiliare (31) e di fondi (14) – spiccano proprio le manovre dell’Ente Diocesi per sostenere gli sforzi delle parrocchie indebitate e per aiutare le associazioni e gli organismi attivi sul territorio (Caritas in primis) a fronteggiare le nuove e le vecchie povertà e il declino sociale di quelle fasce di popolazione che un tempo potevano chiamarsi classe media e oggi non più, erosa da inflazione, carovita e crisi che torna strisciante.
Eloquente che i fondi Carità passino da 186 mila euro del 2002 ad oltre 1, 1 milioni nell’esercizio dello scorso anno. E che se un anno fa la quota dell’8 per mille andata a parrocchie enti ed associazioni si attestava sul milione, dei 3 ricevuti (o meglio, 2, 8 milioni), nel 2023 abbia registrato un raddoppio secco, superando i 2, 1 milioni.
Il resoconto dell’economo Sergio Criveller, e la relazione del revisore dei conti Lorenzo Gassa che ne attesta la correttezza e l’oculatezza, fanno emergere i valori di terreni e fabbricati di proprietà (31, 792 milioni), in una lista che comprende Curia, Vescovado, Casa della Carità, collegio Pio X, casa di Caviola, Stella Maris di Bibione. Diverse di esse, peraltro, sono state oggetto di interventi migliorativi. Fino a d alcuni acquisti e cessioni di appartamenti.
A 14, 5 milioni ammontano invece le immobilizzazioni finanziarie, con investimenti in obbligazioni, e la partecipazione della Diocesi nella Giuseppe Toniolo srl, società unipersonale controllata (11 milioni la quota) che gestisce la Stella Maris di Bibione, il centro don Paolo Chiavacci di Crespano e la casa ferie di Caviola.
A 1, 6 milioni si attestano sia i crediti non riscossi (da parrocchie e da contributi non erogati), sia i debiti verso erario, Inps e altre istituzioni. Ci sono infine 2, 7 milioni da lasciti, eredità e collette non ancora impegnati, compresi i legati (donazioni a fronte di impegni liturgico sacramentali).
Il conto economico elaborato da Criveller riporta poi i dipendenti della Diocesi (25, più collaboratori e consulenti) e il loro costo del lavoro (quasi 860 mila euro), mentre supera i 3, 7 milioni la spesa per tutte le attività organizzate dalla Diocesi: eventi, servizi pastorali, formazione, di vigilanza su parrocchie ed enti, consulenze amministrative, di cancelleria e per il tribunale diocesano.
C’è poi un altro milione di uscite tra gestione del patrimonio e costi straordinari. Ma fra gli introiti spiccano anche 3 milioni di entrate derivanti dalle attività riprese dopo la pandemia, dalle pubblicazioni agli eventi formativi dai pellegrinaggi ai viaggi fino all’operazione per la Giornata Mondiale della Gioventù. Infine, un altro milione tondo tondo alla voce entrate spunta dal 3% che ogni parrocchia e versa sulle entrate lorde ordinarie, e poi dalle tasse sulle alienazioni, sulle eredità e decreti. E ancora da raccolte straordinarie, eredità ed immobili.
Nella nota ufficiale, la Diocesi ricorda come la pubblicazione del bilancio sia «uno strumento di partecipazione e di crescita, all’insegna della massima trasparenza», e soprattutto come «gli stessi numeri vadano letti come scelte gestionali rispetto alla missione». Un invito a superare una lettura meramente contabile, e a cogliere le ragioni più profonde dell’esercizio finanziario.
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