Mutilati e invalidi del lavoro battono tre impostori: i finti dipendenti smascherati in Cassazione
Nel primo grado il giudice del tribunale di Conegliano aveva dato ragione all'azienda di recupero credito. Dopo dieci anni ora è arrivata la pronuncia della Cassazione che ha ribaltato la sentenza

Nel primo grado il giudice del tribunale di Conegliano aveva dato ragione all'azienda di recupero credito. Dopo dieci anni ora è arrivata la pronuncia della Cassazione che ha ribaltato la sentenza e dato ragione all'associazione Unmil, Unione e invalidi mutilati del lavoro.
La vicenda prende avvio nel 2012, quando il tribunale aveva emesso un decreto ingiuntivo di 28.335 euro più interessi nei confronti di Unmil, promosso dalla ditta di riscossione crediti Sigla Srl.
La cifra doveva essere un parziale risarcimento di prestiti concessi a due uomini e una donna del Coneglianese e del Vittoriese, dipendenti dell'associazione e quindi, con la formula della cessione del quinto dello stipendio. Già durante il dibattimento in sede civile a Conegliano, però, si scoprì che in realtà i tre impostori avevano falsificato le carte per ottenere il prestito e non erano lavoratori di Unmil.
Il giudice di primo grado però, non essendo stata formalizzata una denuncia per la falsificazione dei documenti, aveva dato ragione alla società di riscossione crediti e quindi condannato l'Unione e invalidi mutilati del lavoro a pagare circa 7mila euro per conto dei tre falsi dipendenti. La sentenza fu ribaltata già in secondo grado dalla Corte d'appello di Venezia, e perciò Sigla aveva presentato ricorso in Cassazione.
La società lamentava, tra le altre cose, «l’omessa vigilanza dell’ente sul comportamento di P.C. che, approfittando e abusando del suo ruolo di collaboratrice volontaria/responsabile di fatto della sede provinciale, quale figlia del fondatore e segretario generale, avrebbe concorso nella realizzazione dell’illecito per il tramite dell’utilizzo dei documenti, sistemi informatici, timbri e posta elettronica certificata».
Una vicenda complicata, di cui alla fine ha rischiato di farne le spese proprio l’Unmil. Sul caso si è espressa la Cassazione e in questi giorni sono arrivate le motivazioni che confermano la ragione dell'Unione e invalidi mutilati del lavoro.
«Unmil – scrivono i giudici della Corte suprema - ha evidenziato la palese contraffazione di quei documenti tanto da aver dovuto chiedere tutela anche in sede penale. Lo stesso presidente nazionale dell’ente ha personalmente dichiarato, a verbale di udienza, che le sigle apposte sui documenti prodotti dalla società non erano riconducibili ad alcun soggetto avente una relazione giuridica con l’ente».
I tre coneglianesi e vittoriesi insomma avevano raggirato tutti, fingendosi dipendenti della meritoria associazione, per risultare dei dipendenti insospettabili con le carte in regola e così ottenere del denaro in prestito (poi non restituito). Mentre nessuna colpa era invece attribuibile all'associazione, che anzi, raggirata a sua volta, è stata parte lesa nella vicenda.
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