Caccia ai vecchi tesori della Grande guerra Corrado e il suo museo dei residuati bellici

Bombe e granate esplose e inesplose, baionette, resti di armi, elmetti e molto altro ancora. Si trovano ancora molti reperti della Grande Guerra tra Piave e Montello: stanno lì a dimostrare la tragedia degli scontri di un secolo fa. Negli scorsi decenni c’erano i recuperanti che cercavano residuati per venderne le parti metalliche. Da tempo quel giro d’affari è scomparso, ma i recuperanti esistono ancora: non cercano più metalli da rivendere, ma reperti per collezioni private e musei. Oggetti che al mercato dei ricordi possono avere anche un certo valore.
Uno dei recuperanti impegnati da anni nell’area del Montello e del Piave è il nervesano Corrado Callegaro, che ha appena compiuto 54 anni. «Sono nativo di Spresiano, ma da bambino mi sono trasferito a Nervesa dove mio padre era venuto a lavorare come guardiano della centrale elettrica lungo il Piave. Vivendo vicino al fiume mi sono quasi subito imbattuto in vecchi proiettili, palline di shrapnel (un proiettile cavo riempito di sfere di acciaio che allo scoppio andavano a colpire in tutte le direzioni, ndr), e altre testimonianze della guerra», spiega Callegaro. Dalla curiosità di bambino alla passione vera e propria di adulto il passo è stato breve: «Nel 1981, a 16 anni, ho acquistato per 61 mila lire il mio primo metal detector», prosegue. Da allora la sua passione si è mantenuta viva e si è abbinata allo studio della storia del territorio. Tale impegno da volontario lo ha portato a scrivere una guida storica del Montello a sei mani con Renato Tessari e Paolo Gaspari, e a fondare nel 2005 l’associazione “Battaglia del Solstizio”, che si occupa di ricerca storica, oltre a gestire un museo della Grande Guerra a Nervesa dove si occupa anche del restauro di bunker e postazioni del conflitto. Intanto tra gli anni’90 e il primo decennio di questo millennio collabora al restauro delle postazioni di guerra e alla ricerca di reperti sul Pal Piccolo con la Dolomiten Freuden, un’associazione austriaca.
La maggior parte di quanto ha raccolto in questi decenni è andato a musei o ad altri collezionisti, ma conserva oggetti che hanno molto da raccontare. «Col tempo mi sono appassionato a bicchieri e bottiglie e boccette: trovarli intatti è quasi un miracolo e hanno una storia. Qualcuno ha usato questi pezzi di vetro per bere oppure si è curato con i medicinali che contenevano», spiega Callegaro mostrando un bicchiere usato da qualche soldato e una boccetta di cent’anni fa il cui interno profuma ancora di anice. Il recuperante per lo stesso motivo conserva anche Kapen (distintivi per i copricapi dei soldati austroungarici), distintivi dei vari eserciti che hanno combattuto tra il Piave e il Montello, e pezzi di un raro elmetto.
Nella sua collezione privata ci sono poi, oltre a un raro proiettile di artiglieria, anche giganteschi reperti che raccontano pagine meno conosciute della Grande Guerra nella Marca. «Il fronte è arrivato sulla linea del Piave dopo la rotta di Caporetto nel 1917. Prima di quel momento però a Nervesa c’era la scuola dei Bombardieri del Re, dove i soldati imparavano a sparare colpi di bombarda. Non si addestravano però con bombe esplodenti, ma con proietti di solo ferro di vari calibri», spiega Callegaro mostrandone tre da lui ritrovati. Un altro suo orgoglio è un’àncora. «È molto legata al nostro territorio anche se a prima vista non si direbbe. I genieri per costruire i ponti con cui passare il Piave posizionavano assi su barche di ferro tenute ferme con ancore come questa». Insomma, tra Piave e Montello c’è ancora un mondo da scoprire. E da recuperare. —
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