Addio alle colture tradizionali nella Marca: i numeri di una crisi

La provincia di Treviso perde ettari destinati a colture agricole, con un calo del 71% per le pere e del 24% per l’asparago. Costi elevati, cambiamento climatico e difficoltà di manodopera trasformano il settore

Lorenza Raffaello
Agricoltura trevigiana in difficoltà
Agricoltura trevigiana in difficoltà

L’agricoltura perde appeal e, così, la Marca cambia vocazione. Da provincia ad alto tasso agricolo, si ritrova con molti meno ettari destinati alle colture che hanno di fatto riempito le tavole trevigiane e, quindi, meno produzione di frutta e verdura fresca.

In dieci anni la superficie destinata alle coltivazioni si è ridotta di circa un terzo. Ma è negli ultimi anni che la forbice si allarga in modo sostanziale. Ad essere spariti o convertiti ad altro sono soprattutto i campi destinati a prodotti di ortofrutta e ai seminativi.

Un esempio eclatante è quello della produzione di pere, la superficie destinata a questi frutti è diminuita del 71,4% in un solo anno, stessa sorte è toccata anche ai kiwi o agli asparagi, seppur con percentuali più basse. Resta esclusa dal fenomeno la viticoltura, che continua a rappresentare una coltivazione ad alto rendimento.

I motivi del calo 

Le motivazioni sono diverse e toccano diverse sfere, dai costi di produzione, ai margini sempre più risicati di guadagno, dalla difficoltà di reperire manodopera ai cambiamenti climatici. Tutto questo si traduce in una minor produzione di frutta e verdura fresca.

Frutta rovinata per via del maltempo
Frutta rovinata per via del maltempo

Segno anche di un cambiamento delle abitudini di consumo, dove le persone prediligono prodotti pronti o quasi, comunque semilavorati e facili da consumare, e quindi dove ad una minor quantità di prodotto corrisponde un prezzo più alto. Infine, se allo sforzo del lavoro non corrisponde un riscontro economico al produttore conviene lasciare incolti campi, perché così ci perde meno.

I dati nella Marca 

La nostra indagine si è basata sui dati di Veneto Agricoltura inseriti nel Rapporto di congiuntura del comparto agroalimentare veneto pubblicato nel 2024 e relativo al 2023. Nel rapporto vengono analizzati diversi tipi di coltura, i più comuni nella Marca.

L'agricoltura nella Marca
L'agricoltura nella Marca

Tra i seminativi ad aver perso spazio c’è la soia, che con 13 mila ettari lavorati, ha perso il 21,1% della superficie, anche il mais perde terreno: nel 2023 è stato seminato su 16 mila ettari, il 13,1 per cento in meno rispetto all’anno precedente. Non perdono spazio, invece, il frumento e l’orzo, anche se i numeri saranno destinati a cambiare visto l’andamento negativo degli ultimi mesi.

Per quanto concerne la frutta, la situazione è ben più allarmante, a cominciare dalle pere. Nell’intera provincia di Treviso nel 2023 sono stati censiti quattro ettari di frutteto, confronto ai 14 dell’anno precedente, il 71,4% in meno.

Male anche la coltivazione di kiwi che in anno ha perso l’11,8% della superficie dedicata, oppure quella del ciliegio che con i suoi 117 ettari è diminuita dello 6,4%. Il terreno dedicato al melo, invece, è rimasto stabile e conta 125 ettari. Calato lievemente anche lo spazio dedicato all’olivo, in un anno ha perso lo 0,2%. Secondo il report di Veneto Agricoltura, diminuisce la superficie coltivata anche di due eccellenze trevigiane: il radicchio e l’asparago, rispettivamente del 17,6% e del 24,7%.

In questo caso hanno pesato non tanto la richiesta da parte del consumatore finale, quanto la difficoltà, diventata estrema, nel reperire manodopera adeguata e le avversità climatiche degli ultimi due anni.

I commenti

«È un fenomeno che stiamo riscontrando da alcuni anni», commenta Giangiacomo Gallarati Scotti Bonaldi, presidente di Confagricoltura Treviso, «Potrebbe anche trattarsi di uno scambio tra colture, ma soprattutto chi ha piccoli appezzamenti decide di lasciare il terreno agricolo incolto piuttosto che perdere tempo. È un comportamento che si sta replicando e questo comincia ad incidere, spesso i terreni venivano dati in affitto ma ora si evita anche quello. La superficie vitivinicola è quella che ha maggiore valore aggiunto, una maggiore remunerazione. Anche per mais, soia e frumento l’annata è stata un disastro», conclude il presidente. 

Gli effetti del cambiamento climatico in agricoltura
Gli effetti del cambiamento climatico in agricoltura

«Serve una politica agricola nazionale, manca un sostegno se non quello minimo per sopravvivere, bisogna valorizzare la filiera e il prodotto, c’è qualcosa di più del made in Italy, bisogna trovare risorse per uscire l’emergenza continua».

«Veniamo da due anni molto difficili dal punto di vista meteorologico» aggiunge Giorgio Polegato, presidente di Coldiretti Treviso, «In tanti nell’ultimo anno non sono riusciti a seminare perché continuava a piovere e quindi in tanti hanno rinunciato. Hanno inciso anche i costi alti: quello realizzato con il venduto non paga lo sforzo».

Il parere dell’esperto 

Come in una relazione biunivoca, gli effetti del fenomeno della riduzione della superficie coltivata nella Marca si riflettono direttamente su tutta la filiera. Un anello importante è quello del commercio e del mercato ortofrutticolo, anello di congiunzione tra il consumatore finale e il produttore.

Il presidente di Nordest Mercati, Francesco Volpato
Il presidente di Nordest Mercati, Francesco Volpato

Secondo il presidente di Nordest Mercati, Francesco Volpato, il fenomeno della riduzione delle colture in termini di spazio dipende da almeno quattro fattori. Il primo è il cambio di preferenze di consumo del consumatore finale.

«Negli ultimi tre/quattro anni il settore dell’ortofrutta ha subito un calo importante, a fine 2024 abbiamo visto una ripresa, ma questa non è abbastanza per capire se la tendenza di riuscirà ad invertire», spiega Volpato, «si parla di un colo del 3-4% all’anno. E allora il produttore si allinea a quelle che sono le esigenze dei volumi richiesti dalla domanda, nel senso che se produrre troppo diventa antieconomico e non trova un riscontro economico, il produttore non continua a produrre. Probabilmente è una chiave di lettura di questi dati di contenimento».

I consumatori cambiano abitudini 

Il cambiamento delle abitudini del consumatore finale si riflette anche sul negoziante: «Le persone scelgono di andare sul prodotto semi-preparato o semi-pronto, questo lo vediamo sicuramente anche nelle scelte dei nostri clienti e di quelli che sono i canali distributivi, che vengono anche dal mercato. Tanti piccoli negozianti si sono attivati creando dei piccoli laboratori autorizzati nei propri negozi per preparare i semi-preparati, questo però si riflette anche sulle quantità del prodotto, se ne vende meno ad un prezzo più alto».

Agricoltura in difficoltà a Treviso
Agricoltura in difficoltà a Treviso

Il secondo fattore da cui potrebbe dipendere la diminuzione di produzione di frutta e verdura fresca è l’aumento dei costi in capo al produttore: «Negli ultimi anni hanno fortemente impattato i costi», approfondisce il presidente del mercato, «ci sono i costi delle materie prime, dei fertilizzanti, dei trasporti, i costi del gasolio, tutti gli annessi connessi, costi di energia elettrica, degli imballaggi. Ogni voce è aumentata dopo il Covid e questo ha assottigliato sempre più la marginalità del produttore, che si trova sopraffatto. Il produttore ha una riduzione di quella che è stata la sua marginalità, perché sono tutti i costi che si hanno portato in calo. Quindi giustamente se c’è una remunerazione conviene».

I consumatori preferiscono la verdura semi lavorata
I consumatori preferiscono la verdura semi lavorata

Altro fattore impattante è quello dell’emergenza climatica, l’ortofrutta è stato fortemente danneggiato dal clima avverso degli ultimi anni e questo si riflette sulla quantità dei prodotti che ogni mattina finiscono sui bancali del mercato.

Infine, a incidere sul fenomeno c’è sicuramente il tema della mancanza di manodopera: «I produttori non riescono a trovare persone che vadano sui campi. Nel nostro territorio c’erano tante aziende agricole, probabilmente familiari, poi piano piano il ricambio generazionale si è fatto più difficile, non perché i figli non vogliano continuare il lavoro dei padri, ma perché proprio non ci sono più giovani. Quello dell’agricoltura è comunque un mondo che andrà avanti, sicuramente il ricambio c’è, ma probabilmente i numeri sono leggermente più contenuti rispetto al passato», conclude Francesco Volpato.

 

Riproduzione riservata © Tribuna di Treviso