Quell’estate un gelato valeva più di un bacio
Il racconto di Federica Manzon. Aveva scommesso con gli amici che sarebbe riuscito a entrare nella Base. Lei aveva altre intenzioni, mentre dalla radio una voce parlava di bombe
Come uno di quei ragazzi nei telefilm americani, pensa, mentre percorre in sella alla sua bici da cross la strada che dal quartiere residenziale lo porta verso la pedemontana. Non ha tutti i torti, Matteo Ros. Dodici anni, la carnagione chiara e compatta di chi ha bevuto molto latte da bambino, denti bianchi e regolari, pubblicitari, braccia da sportivo, occhi azzurri e una bionda luminosità che riverbera sulla maglietta bianca Nike.
Il sole delle due di pomeriggio acceca l’aria
Il sole delle due di pomeriggio acceca l’aria. Matteo pedala sciolto, solleva le mani dal manubrio e le porta sulle cosce, si gode il benefico venticello generato dalla velocità. Sorride, come Apollo al sole. Intanto le villette edificate su colline artificiali, garage sotterraneo e taverna antiatomica con salami e soppresse, cedono il passo alle case di campagna dai cortili di ghiaia e le verande con gli infissi color oro. Un cane abbaia fiacco, da una finestra escono l’odore di pollo in umido e la voce di Ridge Forrester. È giugno, nella provincia a nordest dove tutto è ordinato e ordinario.
Matteo supera via Pionieri del volo. Pedala verso casa di Jessica Wood, sua compagna di classe con cui ha scambiato non più di cinque o sei frasi dall’inizio dell’anno. Jessica Wood che è una della Base. Ha scommesso cinquemila lire che sarebbe riuscito a farsi invitare a casa sua, che sarebbe riuscito ad assaggiare il gelato alla fragola della Base. Lo sanno tutti che non è come quello che si mangia da loro: è una spuma zuccherosa che sa di marschmallow, dicono. Matteo sa cos’è un marschmallow perché ha visto Ghostbuster da bambino, ma non saprebbe dirne la forma o il gusto. Sorride, biondo azzurrino, e accelera.
Da Mario’s Cicchetteria arriva la musica della cucaracha.
All’Union Pub gira a destra, gli ha scritto Jessica nel foglio con la mappa. All’Union Pub qualche settimana fa c’è stata una rissa, un ragazzo è finito in ospedale ma quelli che menavano erano della Base, quindi niente polizia, la loro polizia speciale se li è presi e li ha riportati nelle loro case al riparo dalla giustizia. Così ha sentito dire dai suoi, così hanno sentito dire anche Riccardo e Nic.
Nessuno ha mai spiegato a Matteo cos’è la Base, cosa ci fa a pochi chilometri da casa sua quella provincia invisibile e visibilissima. Le leggende prosperano: gli F16 e gli Awacs, il gelato alla fragola che sa di marschmallow, i piani sotterranei con le bombe, i campi da baseball nei giardini delle case. Ha scommesso cinquemila lire per andare a vedere. Jessica non gli va a genio, perché gioca a basket e è più alta di lui di parecchi centimetri. Però gli ha promesso che mangeranno il gelato, lo compra suo padre tutti i venerdì dal supermercato della Base – alla fragola, gli ha assicurato stupita.
Davanti al numero 7 molla la bici, suona. Click
Davanti al numero 7 molla la bici, suona. Click. Il giardino è un giardino, niente campo da baseball. C’è però una piscina gonfiabile, immensa: lui ha sempre creduto che fossero roba da bambini piccoli, le piscine gonfiabili, questa invece è grande come un Tagadà.
Jessica gli sorride in shorts e top a forma di farfalla, gli occhi con i brillantini come per Carnevale.
«Bella la piscina».
Segue un silenzio lungo il tempo di incollargli la maglietta Nike alla schiena. Jessica studia l’erba. Matteo muore di caldo e curiosità. .. Until the bombing stops we will be here... una voce da una radio lontana.
«Hai già iniziato i compiti?» «Eh? »
Il prato è verde scintillante, la piscina è blu... We can call it indiscriminate bombing... Matteo vorrebbe sporgersi sul cerchio gonfiabile per vedere se dentro c’è l’acqua.
«Hai la Nintendo?» dice invece.
Jessica lo guarda e ha le guance come Heidi.
«No» si scusa. «Ho la Playstation».
Nessuno degli amici di Matteo ha la Playstation.
«Dov’è? Cioè, ci giochiamo?»
Lei alza le spalle. Lo accompagna in casa. Aria a dieci gradi e uno specchio sopra il camino con le fiamme finte. Si dividono i controller. Lei prende NBA LIVE 14. Matteo odia il basket, ma non ha mai giocato alla Playstation. Jessica naturalmente è un asso. Giocano 17 partite. 16 a 1.
«Pausa gelato?»
Lei sorride, neanche avesse architettato il momento.
Lo spinge in giardino e arriva abbracciando un barattolo rosa alto quanto una bottiglia di vino. Si siedono sulle sdraio. Matteo sta per fare un movimento ma sarebbe maleducato… Those people will be murder anyway... Soffia un venticello pomeridiano. Jessica alza gli occhi su di lui e Matteo si accorge che sono di un verde dorato. Il barattolo del gelato è al sole. Si sta squagliando... Just before the bombing of Jugoslavia... C’è troppo silenzio, tutto è disegnato.
«Forse potremmo...»
Jessica sorride, ha la pelle delle labbra screpolate
Jessica sorride, ha la pelle delle labbra screpolate… Nobody has the right to say one thing against our country… Matteo vince la buona educazione. Si alza in piedi, afferra il barattolo, dieci chili di gelato alla fragola della Base. Prova ad aprire il tappo, ma c’è un sigillo di plastica. Ha la schiena fradicia, cerca... The NATO Army... Guarda Jessica. Un coltello? Un taglierino? Lei gli prende la mano e se la mette sul cuore. No, sulle tette a farfalla. In un istante lo sta baciando. Matteo salta indietro. Cade la sedia alle sue spalle.
«Scusami...» prova a dire, ma il giardino è asfissiante, la piscina gonfiabile immensa, il gelato alla fragola della Base si sta sciogliendo, Jessica e i suoi centimetri lo sovrastano, la sua aria feroce da omino dei marschmallow.
«Scusami... scusami... scusami...»
Un click automatico, Matteo vola e prima che il cancello si richiuda è già sulla bici. Pedala via, il cuore in gola, ma che cazzo, i pedali che scattano, che cretino, i muscoli spingono. Supera Mario’s Cicchetti. Ricominciano i campi di pannocchie. Il sole è diventato arancione all’orizzonte. Qualche macchina, la provincia che torna a casa dal lavoro. Matteo toglie le mani dal manubrio, respira, lascia girare i pedali. Ora gli viene da ridere: inventerà una storia, descriverà il gusto da marschmallow della fragola della Base, si prenderà le sue cinquemila lire.
Diventerà un solido ricordo d’infanzia, quel gelato. Qualcosa che potrà descrivere nel dettaglio: il sapore, la consistenza. E ogni volta lo riporterà a casa, a quel posto che nessuno delle persone della sua vita adulta potrebbe capire, perché nessuno di loro ha mai pedalato lungo strade tra campi di pannocchie in solitari pomeriggi estivi, nessuno di loro è cresciuto all’ombra della Base mancando i baci e lanciando la testa indietro a respirare il cielo estivo mentre i primi F16 della sera si alzano in volo a bombardare un paese che nessuno di loro conoscerà mai.
L’autrice: Federica Manzon
Federica Manzon è nata a Pordenone nel 1981. Si è laureata in Filosofia contemporanea all’Università di Trieste, e ha poi lavorato come editor di narrativa italiana e straniera in Mondadori e per Crocetti editore. Ha diretto la didattica della Scuola Holden ed è ora direttrice editoriale della casa editrice Guanda.
Ha esordito nel 2008 con il romanzo “Come si dice addio” (Mondadori), al quale sono seguiti “Di fama e di sventura” (Mondadori, 2011, premio Rapallo Carige e premio Selezione Campiello), “La nostalgia degli altri” (Feltrinelli, 2017) e “Il bosco del confine” (Aboca Edizioni, 2020). Ha inoltre curato un’antologia, “I mari di Trieste” (Bompiani, 2015).
Il suo ultimo romanzo “Alma” (Feltrinelli 2024) è nella cinquina finalista del Premio Campiello, al Premio Bottari-Lattes, al Premio Stresa, al Premio Alassio, al premio Procida.
Collabora con quotidiani e riviste letterarie occupandosi per lo più di letteratura balcanica e est europea. Vive tra Milano e Trieste.
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